Gestis verbisque
de Dicastère pour la Doctrine de la Foi
Date de publication : 02/02/2024

Texte original

 

 

 

 

DICASTERO PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

 

NOTA

GESTIS VERBISQUE

SULLA VALIDITÁ DEI SACRAMENTI

 

Presentazione

 

Già in occasione dell’Assemblea Plenaria del Dicastero del gennaio 2022, i Cardinali e i Vescovi Membri avevano espresso la loro preoccupazione per il moltiplicarsi di situazioni in cui si era costretti a costatare l’invalidità dei Sacramenti celebrati. Le gravi modifiche apportate alla materia o alla forma dei Sacramenti, rendendone nulla la celebrazione, avevano poi condotto alla necessità di rintracciare le persone coinvolte per ripetere il rito del Battesimo o della Cresima ed un numero importante di fedeli hanno giustamente espresso il loro turbamento. Ad esempio, invece di usare la formula stabilita per il Battesimo, si sono utilizzate formule come quelle che seguono: «Io ti battezzo nel nome del Creatore…» e «A nome del papà e della mamma… noi ti battezziamo». In una tale grave situazione si sono ritrovati anche dei sacerdoti. Questi ultimi, essendo stati battezzati con formule di questo tipo, hanno scoperto dolorosamente l’invalidità della loro ordinazione e dei sacramenti sino a quel momento celebrati.

Mentre in altri ambiti dell’azione pastorale della Chiesa si dispone di un ampio spazio per la creatività, una simile inventiva nell’ambito della celebrazione dei Sacramenti si trasforma piuttosto in una “volontà manipolatrice” e non può perciò essere invocata.[1] Modificare, dunque, la forma di un Sacramento o la sua materia è sempre un atto gravemente illecito e merita una pena esemplare, proprio perché simili gesti arbitrari sono in grado di produrre un gravoso danno al Popolo fedele di Dio.

Nel discorso rivolto al nostro Dicastero, in occasione della recente Assemblea Plenaria, il 26 gennaio 2024, il Santo Padre ha ricordato che «mediante i Sacramenti, i credenti diventano capaci di profezia e di testimonianza. E il nostro tempo ha bisogno con particolare urgenza di profeti di vita nuova e di testimoni di carità: amiamo dunque e facciamo amare la bellezza e la forza salvifica dei Sacramenti!». In questo contesto ha altresì indicato che «ai ministri è richiesta una particolare cura nell’amministrarli e nel dischiudere ai fedeli i tesori di grazia che comunicano».[2]

È così che, da una parte, il Santo Padre ci invita ad agire in modo tale che i fedeli possano avvicinarsi fruttuosamente ai Sacramenti, mentre dall’altra parte sottolinea con forza il richiamo ad una “particolare cura” nella loro amministrazione.

A noi ministri è pertanto richiesta la forza di superare la tentazione di sentirci proprietari della Chiesa. Dobbiamo, al contrario, diventare assai ricettivi davanti a un dono che ci precede: non soltanto il dono della vita o della grazia, ma anche i tesori dei Sacramenti che ci sono stati affidati dalla Madre Chiesa. Non sono nostri! E i fedeli hanno il diritto, a loro volta, di riceverli così come la Chiesa dispone: è in questa maniera che la loro celebrazione è corrispondente all’intenzione di Gesù e rende attuale ed efficace l’evento della Pasqua.

Col nostro religioso rispetto di ministri verso quanto la Chiesa ha stabilito riguardo alla materia e alla forma di ogni Sacramento, manifestiamo di fronte alla comunità la verità che «il Capo della Chiesa, e dunque il vero presidente della celebrazione, è solo Cristo».[3]

La Nota che qui presentiamo non tratta perciò di una questione meramente tecnica o persino “rigorista”. Con il pubblicarla, il Dicastero intende principalmente esprimere luminosamente la priorità dell’agire di Dio e salvaguardare umilmente l’unità del Corpo di Cristo che è la Chiesa nei suoi gesti più sacri.

Possa questo Documento, approvato unanimemente il 25 gennaio 2024 dai Membri del Dicastero riuniti in Assemblea Plenaria e poi dallo stesso Santo Padre Francesco, rinnovare in tutti i ministri della Chiesa la piena consapevolezza di quanto Cristo ci ha detto: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16).

Víctor Manuel Card. FERNÁNDEZ
Prefetto

 

 

Introduzione

1. Con eventi e parole intimamente connessi, Dio rivela e attua il suo disegno di salvezza per ogni uomo e donna, destinati alla comunione con lui.[4] Questa relazione salvifica si realizza in maniera efficace nell’azione liturgica, dove l’annuncio della salvezza, che risuona nella Parola proclamata, trova la sua attuazione nei gesti sacramentali. Questi, infatti, rendono presente nella storia umana l’agire salvifico di Dio, che ha il suo culmine nella Pasqua di Cristo. La forza redentiva di quei gesti dà continuità alla storia di salvezza che Dio va realizzando nel tempo.

Istituiti da Cristo, i sacramenti sono, dunque, azioni che attuano, per mezzo di segni sensibili, l’esperienza viva del mistero della salvezza, rendendo possibile la partecipazione degli esseri umani alla vita divina. Sono i “capolavori di Dio” nella Nuova ed eterna Alleanza, forze che escono dal corpo di Cristo, azioni dello Spirito operante nel suo corpo che è la Chiesa.[5]

Per questo la Chiesa nella Liturgia celebra con amore fedele e venerazione i sacramenti che Cristo stesso le ha affidato perché li custodisca come preziosa eredità e fonte della sua vita e della sua missione.

2. Purtroppo si deve constatare che non sempre la celebrazione liturgica, in particolare quella dei Sacramenti, si svolge nella piena fedeltà ai riti prescritti dalla Chiesa. Più volte questo Dicastero è intervenuto per dirimere dubia sulla validità di Sacramenti celebrati, nell’ambito del Rito Romano, nell’inosservanza delle norme liturgiche, dovendo talvolta concludere con una dolorosa risposta negativa, constatando, in quei casi, che i fedeli sono stati derubati di ciò che è loro dovuto, «vale a dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce».[6] A titolo esemplificativo si potrebbe fare riferimento a celebrazioni battesimali in cui la formula sacramentale è stata modificata in un suo elemento essenziale, rendendo nullo il sacramento e compromettendo in questo modo il futuro cammino sacramentale di quei fedeli per i quali, con grave disagio, si è dovuto procedere a ripetere la celebrazione non solo del Battesimo, ma anche dei sacramenti ricevuti successivamente.[7]

3. In talune circostanze si può constatare la buona fede di alcuni ministri che, inavvertitamente o spinti da sincere motivazioni pastorali, celebrano i Sacramenti modificando le formule e i riti essenziali stabiliti dalla Chiesa, magari per renderli, a loro parere, più idonei e comprensibili. Con frequenza, però, «il ricorso alla motivazione pastorale maschera, anche inconsapevolmente, una deriva soggettivistica e una volontà manipolatrice».[8] Si manifesta in questo modo anche una lacuna formativa, soprattutto in ordine alla consapevolezza del valore dell’agire simbolico, tratto essenziale dell’atto liturgico-sacramentale.

4. Per aiutare i vescovi nel loro compito di promotori e custodi della vita liturgica delle Chiese particolari loro affidate, il Dicastero per la Dottrina della Fede intende offrire in questa Nota alcuni elementi di carattere dottrinale in ordine al discernimento sulla validità della celebrazione dei Sacramenti, prestando attenzione anche ad alcuni risvolti disciplinari e pastorali.

5. Lo scopo del presente documento, inoltre, vale per la Chiesa Cattolica nella sua interezza. Tuttavia, le argomentazioni teologiche che lo ispirano ricorrono talvolta a categorie proprie della tradizione latina. Si affida, pertanto, al Sinodo o all’assemblea dei Gerarchi di ciascuna Chiesa orientale cattolica di adeguare debitamente le indicazioni di questo documento, ricorrendo al proprio linguaggio teologico, laddove esso differisca da quello in uso nel testo. Il risultato sia, quindi, sottoposto, previamente alla pubblicazione, all’approvazione del Dicastero per la Dottrina della Fede.

 

I. La Chiesa si riceve e si esprime nei Sacramenti

6. Il Concilio Vaticano II riferisce analogicamente la nozione di Sacramento all’intera Chiesa. In particolare, quando nella Costituzione sulla sacra Liturgia afferma che «dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile Sacramento di tutta la Chiesa»,[9] esso si ricollega alla lettura tipologica, cara ai Padri, del rapporto tra Cristo e Adamo.[10] Il testo conciliare evoca la nota affermazione di Sant’Agostino,[11] il quale spiega: «Adamo dorme perché sia formata Eva; Cristo muore perché sia formata la Chiesa. Dal fianco di Adamo che dorme è formata Eva; dal fianco di Cristo morto in croce, colpito dalla lancia, sgorgano i Sacramenti con cui viene formata la Chiesa».[12]

7. La Costituzione dogmatica sulla Chiesa ribadisce che quest’ultima è «in Cristo come Sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano».[13] E ciò si realizza precipuamente per mezzo dei Sacramenti, in ciascuno dei quali si attua a suo modo la natura sacramentale della Chiesa, Corpo di Cristo. La connotazione della Chiesa quale sacramento universale di salvezza, «mostra come l’economia sacramentale determini ultimamente il modo in cui Cristo, unico Salvatore, mediante lo Spirito raggiunge la nostra esistenza nella specificità delle sue circostanze. La Chiesa si riceve e insieme si esprime nei sette Sacramenti, attraverso i quali la grazia di Dio influenza concretamente l’esistenza dei fedeli affinché tutta la vita, redenta da Cristo, diventi culto gradito a Dio».[14]

8. Proprio costituendo la Chiesa come suo Corpo mistico, Cristo rende i credenti partecipi della sua stessa vita, unendoli alla sua morte e resurrezione in modo reale e arcano attraverso i Sacramenti.[15] La forza santificatrice dello Spirito Santo agisce infatti nei fedeli mediante i segni sacramentali,[16] rendendoli pietre vive di un edificio spirituale, fondato sulla pietra angolare che è Cristo Signore,[17] e costituendoli come popolo sacerdotale, partecipe dell’unico sacerdozio di Cristo.[18]

9. I sette gesti vitali, che il Concilio di Trento ha solennemente dichiarato di istituzione divina,[19] costituiscono così un luogo privilegiato dell’incontro con Cristo Signore che dona la sua grazia e che, con le parole e gli atti rituali della Chiesa, nutre e irrobustisce la fede.[20] È nell’Eucaristia e in tutti gli altri Sacramenti che «ci viene garantita la possibilità di incontrare il Signore Gesù e di essere raggiunti dalla potenza della sua Pasqua».[21]

10. Cosciente di ciò la Chiesa, fin dalle sue origini, ha avuto particolare cura delle fonti dalle quali attinge la linfa vitale per la sua esistenza e la sua testimonianza: la Parola di Dio, attestata dalle sacre Scritture e dalla Tradizione, e i Sacramenti, celebrati nella liturgia, mediante i quali è continuamente ricondotta al mistero della Pasqua di Cristo.[22]

Gli interventi del Magistero in materia sacramentale sono sempre stati motivati dalla fondamentale preoccupazione di fedeltà al mistero celebrato. La Chiesa, infatti, ha il dovere di assicurare la priorità dell’agire di Dio e di salvaguardare l’unità del Corpo di Cristo in quelle azioni che non hanno uguali perché sono sacre «per eccellenza» con una efficacia garantita dall’azione sacerdotale di Cristo.[23]

 

II. La Chiesa custodisce ed è custodita dai Sacramenti

11. La Chiesa è “ministra” dei Sacramenti, non ne è padrona.[24] Celebrandoli ne riceve essa stessa la grazia, li custodisce e ne è a sua volta custodita. La potestas che essa può esercitare in riferimento ai Sacramenti è analoga a quella che possiede nei riguardi della sacra Scrittura. In quest’ultima la Chiesa riconosce la Parola di Dio, messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, stabilendo il canone dei libri sacri. Allo stesso tempo però si sottomette a questa Parola, che «piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone».[25] In modo simile la Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, riconosce quei segni sacri mediante i quali Cristo elargisce la grazia che promana dalla Pasqua, determinando il loro numero e indicando, per ciascuno di essi, gli elementi essenziali.

Facendo ciò, la Chiesa è consapevole che amministrare la grazia di Dio non significa appropriarsene, ma farsi strumento dello Spirito nel trasmettere il dono del Cristo pasquale. Essa sa, in particolare, che la sua potestas in ordine ai Sacramenti si ferma di fronte alla loro sostanza.[26] Come nella predicazione la Chiesa deve sempre annunciare fedelmente il Vangelo di Cristo morto e risorto, così nei gesti sacramentali essa deve custodire i gesti salvifici che Gesù le ha affidato.

12. È pur vero che non sempre in modo univoco la Chiesa ha indicato i gesti e le parole in cui consiste questa sostanza divinitus instituta. Per tutti i Sacramenti, in ogni caso, appaiono fondamentali quegli elementi che il Magistero ecclesiale, in ascolto del sensus fidei del popolo di Dio e in dialogo con la teologia, ha denominato materia e forma, ai quali si aggiunge l’intenzione del ministro.

13. La materia del Sacramento consiste nell’azione umana attraverso la quale agisce Cristo. In essa a volte è presente un elemento materiale (acqua, pane, vino, olio), altre volte un gesto particolarmente eloquente (segno della croce, imposizione delle mani, immersione, infusione, consenso, unzione). Tale corporeità appare indispensabile perché radica il Sacramento non solo nella storia umana, ma anche, più fondamentalmente, nell’ordine simbolico della Creazione e lo riconduce al mistero dell’incarnazione del Verbo e della Redenzione da Lui operata.[27]

14. La forma del Sacramento è costituita dalla parola, che conferisce un significato trascendente alla materia, trasfigurando il significato ordinario dell’elemento materiale e il senso puramente umano dell’azione compiuta. Tale parola trae sempre in varia misura ispirazione dalla sacra Scrittura,[28] affonda le sue radici nella vivente Tradizione ecclesiale ed è stata autorevolmente definita dal Magistero della Chiesa mediante un attento discernimento.[29]

15. La materia e la forma, per il loro radicamento nella Scrittura e nella Tradizione, non sono mai dipesi né possono dipendere dal volere del singolo individuo o della singola comunità. A loro riguardo, infatti, compito della Chiesa non è quello di determinarli a piacimento o arbitrio di qualcuno, ma, salvaguardando la sostanza dei Sacramenti (salva illorum substantia)”,[30] di indicarli con autorevolezza, nella docilità all’azione dello Spirito.

Per alcuni Sacramenti la materia e la forma appaiono sostanzialmente definite fin dalle origini, per cui risulta immediata la loro fondazione da parte di Cristo; per altri la definizione degli elementi essenziali è venuta precisandosi solo nel corso di una storia complessa, talvolta non senza una rilevante evoluzione.

16. A questo proposito non si può ignorare che quando la Chiesa interviene nella determinazione degli elementi costitutivi del Sacramento, essa agisce sempre radicata nella Tradizione, per meglio esprimere la grazia conferita dal Sacramento.

È in questo contesto che la riforma liturgica dei Sacramenti, avvenuta secondo i princìpi del Concilio Vaticano II, chiedeva di rivedere i riti in modo che essi esprimessero più chiaramente le realtà sante che significano e producono.[31] La Chiesa, con il suo magistero in materia sacramentale, esercita la sua potestas nel solco di quella Tradizione vivente «che viene dagli Apostoli e progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo».[32]

Riconoscendo, dunque, sotto l’azione dello Spirito, il carattere sacramentale di alcuni riti, la Chiesa li ha ritenuti corrispondenti all’intenzione di Gesù di rendere attuale e partecipabile l’evento pasquale.[33]

17. Per tutti i Sacramenti, in ogni caso, l’osservanza della materia e della forma è sempre stata richiesta per la validità della celebrazione, con la consapevolezza che modifiche arbitrarie all’una e/o all’altra – la cui gravità e forza invalidante vanno appurate di volta in volta – mettono a repentaglio l’effettiva elargizione della grazia sacramentale, con evidente danno dei fedeli.[34] Sia la materia sia la forma, compendiate dal Codice di Diritto Canonico,[35] sono stabilite nei libri liturgici promulgati dalla competente autorità, i quali devono pertanto essere osservati fedelmente, senza «aggiungere, togliere o mutare alcunché».[36]

18. Legata alla materia e alla forma è l’intenzione del ministro che celebra il Sacramento. È chiaro che qui il tema dell’intenzione va ben distinto da quello della fede personale e della condizione morale del ministro che non intaccano la validità del dono di grazia.[37]Egli, infatti, deve avere l’«intenzione di fare almeno ciò che fa la Chiesa»,[38] rendendo l’azione sacramentale un atto veramente umano, sottratto a ogni automatismo, e un atto pienamente ecclesiale, sottratto all’arbitrio di un individuo. Inoltre, poiché ciò che fa la Chiesa non è altro che ciò che Cristo ha istituito,[39] anche l’intenzione, insieme alla materia e alla forma, contribuisce a rendere l’azione sacramentale il prolungamento dell’opera salvifica del Signore.

Materia, forma e intenzione sono tra loro intrinsecamente unite: esse si integrano nell’azione sacramentale in modo tale che l’intenzione divenga il principio unificante della materia e della forma, facendo di esse un segno sacro mediante il quale la grazia è conferita ex opere operato.[40]

19. A differenza della materia e della forma, che rappresentano l’elemento sensibile e oggettivo del Sacramento, l’intenzione del ministro – insieme alla disposizione del ricevente – rappresenta il suo elemento interiore e soggettivo. Essa, tuttavia, tende per sua natura a manifestarsi anche esternamente attraverso l’osservanza del rito stabilito dalla Chiesa, cosicché la grave modifica degli elementi essenziali introduce anche il dubbio sulla reale intenzione del ministro, inficiando la validità del Sacramento celebrato.[41] In linea di principio, infatti, l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa si esprime nell’utilizzo della materia e della forma che la Chiesa ha stabilito.[42]

20. Materia, forma e intenzione sono sempre inseriti nel contesto della celebrazione liturgica, che non costituisce un ornatus cerimoniale dei Sacramenti e nemmeno una didascalica introduzione alla realtà che si compie, ma è nel suo complesso l’avvenimento in cui continua a realizzarsi l’incontro personale e comunitario tra Dio e noi, in Cristo e nello Spirito Santo, incontro nel quale, attraverso la mediazione di segni sensibili, «viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati».[43]

La necessaria sollecitudine per gli elementi essenziali dei Sacramenti, dai quali dipende la loro validità, deve pertanto accordarsi con la cura e il rispetto dell’intera celebrazione, in cui il significato e gli effetti dei Sacramenti sono resi pienamente intelligibili da una molteplicità di gesti e parole, favorendo in tal modo l’actuosa participatio dei fedeli.[44]

21. La stessa liturgia permette quella varietà che preserva la Chiesa dalla «rigida uniformità».[45] Per questo motivo il Concilio Vaticano II ha stabilito che, «salva la sostanziale unità del rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni».[46]

In forza di ciò, la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II non solo ha autorizzato le Conferenze Episcopali a introdurre adattamenti generali all’editio typica latina, ma ha altresì previsto la possibilità di adattamenti particolari da parte del ministro della celebrazione, con l’unico scopo di venire incontro alle necessità pastorali e spirituali dei fedeli.

22. Tuttavia, affinché la varietà «non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva»,[47] resta chiaro che, al di fuori dei casi espressamente indicati nei libri liturgici, «regolare la sacra Liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa»,[48] che risiede, a seconda delle circostanze, nel Vescovo, nell’assemblea episcopale territoriale, nella Sede Apostolica.

È chiaro, infatti, che «modificare di propria iniziativa la forma celebrativa di un Sacramento non costituisce un semplice abuso liturgico, come trasgressione di una norma positiva, ma un vulnus inferto a un tempo alla comunione ecclesiale e alla riconoscibilità dell’azione di Cristo, che nei casi più gravi rende invalido il Sacramento stesso, perché la natura dell’azione ministeriale esige di trasmettere con fedeltà quello che si è ricevuto (cfr. 1Cor 15,3)».[49]

 

III. La presidenza liturgica e l’arte del celebrare

23. Il Concilio Vaticano II e il Magistero post-conciliare permettono di inquadrare il ministero della presidenza liturgica nel suo corretto significato teologico. Il Vescovo e i presbiteri suoi collaboratori presiedono le celebrazioni liturgiche, in modo culminante l’Eucaristia, «fonte e culmine di tutta la vita cristiana»,[50] in persona Christi (Capitis) nomine Ecclesiae. In entrambi i casi, si tratta di formule che – pur con alcune varianti – sono ben attestate dalla Tradizione.[51]

24. La formula in persona Christi[52] significa che il sacerdote ripresenta Cristo stesso nell’evento della celebrazione. Ciò si realizza in modo culminante quando, nella consacrazione eucaristica, pronuncia le parole del Signore con la stessa efficacia, identificando, in virtù dello Spirito Santo, il suo io con quello di Cristo. Quando poi il Concilio precisa che i presbiteri presiedono l’Eucaristia in persona Christi Capitis,[53] non intende avallare una concezione secondo cui il ministro disporrebbe, in quanto “capo”, di un potere da esercitare arbitrariamente. Il Capo della Chiesa, e dunque il vero presidente della celebrazione, è solo Cristo. Egli è «il Capo del Corpo cioè della Chiesa» (Col 1,18), in quanto la fa scaturire dal suo fianco, la nutre e la cura amandola fino a dare se stesso per lei (cfr. Ef 5, 25.29; Gv 10, 11). La potestas del ministro è una diaconia, come Cristo stesso insegna ai discepoli nel contesto dell’Ultima Cena (cfr. Lc 22, 25-27; Gv 13, 1-20). Coloro che in forza della grazia sacramentale, vengono configurati a Lui, partecipando dell’autorità con cui Egli guida e santifica il suo popolo, sono pertanto chiamati, nella Liturgia e nell’intero ministero pastorale, a conformarsi alla medesima logica, essendo stati costituiti pastori non per spadroneggiare sul gregge ma per servirlo sul modello di Cristo, Pastore buono delle pecore (cfr. 1Pt 5, 3; Gv 10, 11.14).[54]

25. In pari tempo, il ministro che presiede la celebrazione agisce nomine Ecclesiae,[55] formula che chiarisce che egli, mentre ripresenta Cristo Capo di fronte al suo Corpo che è la Chiesa, rende altresì presente di fronte al proprio Capo questo Corpo, anzi questa Sposa, quale soggetto integrale della celebrazione, Popolo tutto sacerdotale a nome del quale il ministro parla e agisce.[56] Del resto, se è vero che «quando uno battezza è Cristo stesso che battezza»,[57] lo è altrettanto il fatto che «la Chiesa, quando celebra un Sacramento, agisce come Corpo che opera inseparabilmente dal suo Capo, in quanto è Cristo-Capo che agisce nel Corpo ecclesiale da Lui generato nel mistero della Pasqua».[58] Ciò evidenzia la reciproca ordinazione tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale,[59] consentendo di comprendere che il secondo esiste al servizio del primo, e proprio per questo – come si è visto – nel ministro che celebra i Sacramenti non può mai mancare l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa.

26. La duplice e combinata funzione espressa dalle formule in persona Christi – nomine Ecclesiae, e la reciproca feconda relazione tra sacerdozio battesimale e sacerdozio ministeriale, unita alla consapevolezza che gli elementi essenziali per la validità dei Sacramenti vanno considerati nel loro contesto proprio, cioè l’azione liturgica, renderanno il ministro sempre più consapevole che «le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa», azioni che, pur nella «diversità degli stati, degli uffici e della partecipazione attiva», «appartengono all’intero Corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano».[60] Proprio per questo, il ministro comprenda che l’autentica ars celebrandi è quella che rispetta ed esalta il primato di Cristo e l’actuosa participatio di tutta l‘assemblea liturgica, anche attraverso un’umile obbedienza alle norme liturgiche.[61]

27. Appare sempre più urgente maturare un’arte del celebrare che, tenendosi a distanza tanto da un rigido rubricismo quanto da una fantasia sregolata, conduca a una disciplina da rispettare, proprio per essere autentici discepoli: «Non si tratta di dover seguire un galateo liturgico: si tratta piuttosto di una “disciplina” – nel senso usato da Guardini – che, se osservata con autenticità, ci forma: sono gesti e parole che mettono ordine dentro il nostro mondo interiore facendoci vivere sentimenti, atteggiamenti, comportamenti. Non sono l’enunciazione di un ideale al quale cercare di ispirarci, ma sono un’azione che coinvolge il corpo nella sua totalità, vale a dire nel suo essere unità di anima e di corpo».[62]

 

Conclusione

28. «Noi […] abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2Cor 4, 7). L’antitesi utilizzata dall’Apostolo per sottolineare come la sublimità della potenza di Dio si riveli attraverso la debolezza del suo ministero di annunciatore ben descrive anche quanto accade nei Sacramenti. La Chiesa tutta è chiamata a custodire la ricchezza in essi contenuta, perché mai venga offuscato il primato dell’agire salvifico di Dio nella storia, pur nella fragile mediazione di segni e di gesti propri della umana natura.

29. La virtus operante nei Sacramenti plasma il volto della Chiesa, abilitandola a trasmettere il dono di salvezza che Cristo morto e risorto, nel suo Spirito, vuole partecipare a ogni uomo. Nella Chiesa, ai suoi ministri in particolare, è affidato questo grande tesoro, perché quali «servi premurosi» del popolo di Dio lo nutrano con l’abbondanza della Parola e lo santifichino con la grazia dei Sacramenti. Spetta a loro per primi fare in modo che «la bellezza del celebrare cristiano» si mantenga viva e non venga «deturpata da una superficiale e riduttiva comprensione del suo valore o, ancor peggio, da una sua strumentalizzazione a servizio di una qualche visione ideologica, qualunque essa sia».[63]

Solo così la Chiesa può, di giorno in giorno, «crescere nella conoscenza del mistero di Cristo, immergendo la […] vita nel mistero della sua Pasqua, in attesa del suo ritorno».[64]

 

Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa al sottoscritto Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede il giorno 31 gennaio 2024, ha approvato la presente Nota, decisa nella Sessione Plenaria di questo Dicastero, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato in Roma, presso la sede del Dicastero per la Dottrina della Fede, il 2 febbraio 2024, nella festa della Presentazione del Signore.

Víctor Manuel Card. Fernández
Prefetto

Mons. Armando Matteo
Segretario per la Sezione Dottrinale

Ex Audientia Diei   31-1-2024
FRANCISCUS

 


[1] Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa la modifica della formula sacramentale del Battesimo (24 giugno 2020), nota 2: L’Osservatore Romano, 7 agosto 2020, 8.

[2] Francesco, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Dicastero per la Dottrina della Fede, Sala Clementina (26 gennaio 2024): L’Osservatore Romano, 26 gennaio 2024, 7.

[3] Dicastero per la Dottrina della Fede, Nota Gestis verbisque sulla validità dei Sacramenti (2 febbraio 2024), n. 24.

[4] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 2: AAS 58 (1966) 818.

[5] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1116.

[6] Francesco, Lett. Ap. Desiderio desideravi (29 giugno 2022), n. 23: L’Osservatore Romano, 30 giugno 2022, 9.

[7] Alcuni sacerdoti hanno dovuto constatare l’invalidità della loro ordinazione e degli atti sacramentali da loro celebrati proprio per la mancanza di un Battesimo valido (cfr. can. 842), dovuto alla negligenza di chi aveva loro conferito il Sacramento in modo arbitrario.

[8] Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa la modifica della formula sacramentale del Battesimo (24 giugno 2020), nota 2: L’Osservatore Romano, 7 agosto 2020, 8.

[9] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), nn. 5, 26: AAS 56 (1964) 99, 107.

[10] Commenta a questo proposito Papa Francesco: «Il parallelo tra il primo e il nuovo Adamo è sorprendente: come dal costato del primo Adamo, dopo aver fatto scendere su di Lui un torpore, Dio trasse Eva, così dal costato del nuovo Adamo, addormentato nel sonno della morte, nasce la nuova Eva, la Chiesa. Lo stupore è per le parole che possiamo pensare che il nuovo Adamo faccia sue guardando laChiesa: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (Gen 2, 23). Per aver creduto alla Parola ed essere scesi nell’acqua del Battesimo, noi siamo diventati osso dalle sue ossa, carne dalla sua carne»: Francesco, Lett. Ap. Desiderio desideravi (29 giugno 2022), n. 14: L’Osservatore Romano, 30 giugno 2022, 9.

[11] Cfr. S. Agostino, Enarrationes in Psalmos 138, 2: CCL 40, 1991: «Eva nacque dal fianco [di Adamo] addormentato, la Chiesa dal fianco [di Cristo] sofferente».

[12] Id., In Johannis Evangelium tractatus 9, 10: PL 35, 1463.

[13] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 1: AAS 57 (1965) 5. Cfr. Ibid., nn. 9, 48: AAS 57 (1965) 12-14, 53-54; Id., Cost. past. Gaudium et spes (7 dicembre 1965), nn. 5, 26: AAS 58 (1966) 1028-1029, 1046-1047.

[14] Benedetto XVI, Esort. Ap. postsinod. Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), n. 16: AAS 99 (2007) 118.

[15] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 7: AAS 57 (1965) 9-11.

[16] Cfr. Ibid. n. 50: AAS 57 (1965) 55-57.

[17] Cfr. 1Pt 2, 5; Ef 2, 20; Conc. Ecum. Vat.II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 6: AAS 57 (1965) 8-9.

[18] Cfr. 1Pt 2, 9; Ap 1, 6; 5, 10; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), nn. 7-11: AAS 57 (1965) 9-16.

[19] Cfr. Conc. di Trento, Decretum de sacramentis, can. 1: DH 1601.

[20] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 59: AAS 56 (1964) 116.

[21] Francesco, Lett. Ap. Desiderio desideravi (29 giugno 2022), n. 11: L’Osservatore Romano, 30 giugno 2022, 8.

[22] Cfr.Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 9: AAS 58 (1966) 821.

[23] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 5, 7: AAS 56 (1964) 99, 100-101.

[24] Cfr. 1Cor 4, 1.

[25] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 10: AAS 58 (1966) 822.

[26] Cfr. Conc. di Trento, Sessione XXI, cap. 2: DH 1728: «Il Concilio dichiara, inoltre, che la Chiesa ha sempre avuto il potere di stabilire e modificare nell’amministrazione dei Sacramenti, fatta salva la loro sostanza, quegli elementi che ritenesse più utili per chi li riceve o per la venerazione degli stessi Sacramenti, a seconda delle diversità delle circostanze, dei tempi e dei luoghi»; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 21: AAS 56 (1964) 105-106.

[27] Cfr. Francesco, Lett. Enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), nn. 235-236: AAS 107 (2015) 939-940; Id., Lett. Ap. Desiderio desideravi (29 giugno 2022), n. 46: L’Osservatore Romano, 30 giugno 2022, 10; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1152.

[28] Proprio nei Sacramenti e soprattutto nell’Eucaristia la Parola di Dio raggiunge la sua massima efficacia.

[29] Cfr. Gv 14, 26; 16, 13.

[30] Conc. di Trento, Sessione XXI, cap. 2: DH 1728. Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 38: AAS 56 (1964) 110.

[31] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 21: AAS 56 (1964) 105-106. La Chiesa ha sempre avuto la preoccupazione di conservare la sana tradizione, aprendo la via ad un legittimo progresso. Per questo, nella riforma dei riti ha seguito la regola che «le nuove forme, in qualche modo, scaturiscano organicamente da quelle già esistenti»: Ibid., n. 23: AAS 56 (1964) 106. A riprova di ciò si veda: Paolo VI, Cost. Ap. Pontificalis Romani (18 giugno 1968): AAS 60 (1968) 369-373; Id., Cost. Ap. Missale Romanum (3 aprile 1969): AAS 61 (1969) 217-222; Id., Cost. Ap. Divinae consortium naturae (15 agosto 1971): AAS 63 (1971) 657-664; Id., Cost. Ap. Sacram unctionem infirmorum (30 novembre 1972): AAS 65 (1973) 5-9.

[32] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 8: AAS 58 (1966) 821.

[33] Cfr. Benedetto XVI, Esort. Ap. post-sinod. Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), n. 12: AAS 99 (2007) 113; CIC, can. 841.

[34] Va ribadita la distinzione tra liceità e validità, così come va ricordato che una qualsiasi modifica alla formula di un Sacramento è sempre un atto gravemente illecito.
Anche quando si consideri che una piccola modifica non altera il significato originario di un Sacramento e, di conseguenza, non lo rende invalido, essa rimane sempre illecita.
Nei casi dubbi, laddove vi è stata un’alterazione della forma o della materia di un Sacramento, il discernimento circa la sua validità spetta alla competenza di questo Dicastero per la Dottrina della Fede.

[35] A titolo esemplificativo, si vedano: CIC, can. 849 per il Battesimo; can. 880 § 1-2 per la Confermazione; cann. 900 § 1, 924 e 928 per l’Eucaristia; cann. 960, 962 § 1, 965 e 987 per la Penitenza; il can. 998 per l’Unzione degli infermi; can. 1009 § 2, 1012 e 1024 per l’Ordine; cann. 1055 e 1057 per il Matrimonio; can. 847 § 1 per l’uso dei sacri oli.

[36] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 22: AAS 56 (1964) 106. Cfr. CIC, can. 846 § 1.

[37] Cfr. Concilio di Trento, Decretum de Sacramentis, can. 12: DH 1612; Canones de sacramento baptismi, can. 4: DH 1617. Scrivendo all’imperatore nel 496, il Papa Anastasio II così diceva: «Se i raggi di questo sole visibile, pur passando attraverso luoghi fetidissimi, non vengono affatto contaminati da inquinazione alcuna per causa di contatto, molto maggiormente la potenza di quel [sole] che ha fatto codesto visibile, non viene ristretta da alcuna indegnità del ministro»: DH 356.

[38] Concilio di Trento, Decretum de Sacramentis, can. 11: DH 1611. Cfr. Concilio di Costanza, Bolla Inter cunctas, 22: DH 1262; Concilio di Firenze, Bolla Exsultate Deo: DH 1312; CIC, cann. 861 § 2; 869 § 2; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1256.

[39] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 64, a. 8; Benedetto XIV, De Synodo dioecesana, lib. VII, cap. 6, n. 9, 204.

[40] Concilio di Trento, Decretum de Sacramentis, can. 8: DH 1608.

[41] Cfr. Leone XIII, Lett. Ap. Apostolicae curae: DH 3318.

[42] È tuttavia possibile che, anche quando esteriormente si osserva il rito prescritto, l’intenzione del ministro differisca da quella della Chiesa. È quanto accade all’interno di quelle Comunità Ecclesiali che, avendo alterato la fede della Chiesa in qualche elemento essenziale, corrompono con ciò stesso l’intenzione dei loro ministri, impedendo loro di avere l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa – e non la loro Comunità – quando celebra i Sacramenti. Questo è, ad esempio, il motivo dell’invalidità del Battesimo conferito dai Mormoni (Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell’Ultimo Giorno): dato che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono per costoro qualcosa di essenzialmente diverso rispetto a ciò che la Chiesa professa, il Battesimo da loro amministrato, benché conferito con la medesima formula trinitaria, è viziato da un error in fide che ridonda sull’intenzione del ministro. Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Resp. ad propositum dubium de validitate Baptismatis (5 giugno 2001): AAS 93 (2001) 476.

[43] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 7: AAS 56 (1964) 101.

[44] A questo proposito, il Concilio Vaticano II esorta i pastori a vigilare «affinché nell’azione liturgica non solo siano osservate le leggi per la valida e lecita celebrazione, ma i fedeli vi prendano parte in modo consapevole, attivo e fruttuoso»: Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 11: AAS 56 (1964) 103.

[45] Ibid., n. 37: AAS 56 (1964) 110.

[46] Ibid., n. 38: AAS 56 (1964) 110.

[47] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 13: AAS 57 (1965) 18.

[48] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 22 § 1: AAS 56 (1964) 106.

[49] Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa la modifica della formula sacramentale del Battesimo (6 agosto 2020): L’Osservatore Romano, 7 agosto 2020, 8.

[50] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 11: AAS 57 (1965) 15.

[51] Cfr. in particolare, per la formula in persona Christi (o ex persona Christi), S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 22 c; q. 78, a. 1 c; a. 4 c; q. 82, a. 1 c; per la formula in persona Ecclesiae (che in seguito tenderà ad essere soppiantata dalla formula [in] nomine Ecclesiae), Id., Summa Theologiae, III, q. 64, a. 8; ad 2; a. 9, ad 1; q. 82, a. 6 c. In Summa Theologiae, III, q. 82, a. 7, ad 3, Tommaso è attento a connettere le due espressioni: «… sacerdos in missa in orationibus quidem loquitur in persona Ecclesiae in cuius unitate consistit. Sed in consecratione sacramenti loquitur in persona Christi cuius vicem in hoc gerit per ordinis potestatem».

[52] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 33: AAS 56 (1964) 108-109; Id., Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), nn. 10, 21, 28: AAS 57 (1965) 14-15, 24-25, 33-36; Paolo VI, Lett. Enc. Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), n. 29: AAS 59 (1967) 668-669; Id., Esort. Ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1965), n. 68: AAS 68 (1976) 57-58; Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Dominicae Cenae (24 febbraio 1980), n. 8: AAS 72 (1980) 127-130; Id., Esort. Ap. post-sinod. Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), nn. 8, 29: AAS 77 (1985) 200-202, 252-256; Id., Lett. Enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), n. 29: AAS 95 (2003) 452-453; Id., Esort. Ap. post-sinod. Pastores gregis (16 ottobre 2003), nn. 7, 10, 16: AAS 96 (2004) 832-833, 837-839, 848; CIC, cann. 899 § 2; 900 § 1.

[53] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis (7 dicembre 1965), n. 2: AAS 58 (1966) 991-993. Cfr. anche Giovanni Paolo II, Esort. Ap. post-sinod. Christifideles laici (30 dicembre 1988), n. 22: AAS 81 (1989) 428-429; Id., Esort. Ap. post-sinod. Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), nn. 3, 12, 15-18, 21-27, 29-31, 35, 61, 70, 72: AAS 84 (1992) 660-662, 675-677, 679-686, 688-701, 703-709, 714-715, 765-766, 778-782, 783-787; CIC, can. 1009 § 3; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 875; 1548-1550; 1581; 1591.

[54] È quanto afferma anche l’Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 93: «Pertanto, quando celebra l’Eucaristia, [il presbitero] deve servire Dio e il Popolo con dignità e umiltà, e […] far percepire ai fedeli la presenza viva di Cristo».

[55] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 33: AAS 56 (1964) 108-109; Id., Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 10: AAS 57 (1965) 14-15; Id., Decr. Presbyterorum Ordinis (7 dicembre 1965), n. 2: AAS 58 (1966) 991-993.

[56] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 10: AAS 57 (1965) 14-15.

[57] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 7: AAS 56 (1964) 101.

[58] Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa la modifica della formula sacramentale del Battesimo (6 agosto 2000): L’Osservatore Romano, 7 agosto 2000, 8.

[59] Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 10: AAS 57 (1965) 14-15.

[60] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963), n. 26: AAS 56 (1964) 107. Cfr. anche ibid., n. 7: AAS 56 (1964) 100-101; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1140-1141.

[61] Cfr. Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 24.

[62] Francesco, Lett. Ap. Desiderio desideravi (29 giugno 2022), n. 51: L’Osservatore Romano, 30 giugno 2022, 11.

[63] Ibid., n. 16: L’Osservatore Romano, 30 giugno 2022, 9.

[64] Ibid., n. 64: L’Osservatore Romano, 30 giugno 2022, 12.

Texte Français

Traduction privée supervisée par M. l'abbé Christian Paponaud, 
chargé d'enseignement à la Faculté de droit canonique de l'Institut Catholique de Paris.

 

DICASTÈRE POUR LA DOCTRINE DE LA FOI

 

NOTE

GESTIS VERBISQUE

SUR LA VALIDITÉ DES SACREMENTS

 

Présentation

 

Déjà à l’occasion de l'Assemblée Plénière du Dicastère de janvier 2022, les Cardinaux et les Évêques Membres avaient exprimé leur préoccupation au sujet de la multiplication des situations dans lesquelles on a été contraint de constater l'invalidité des sacrements célébrés constatés. Les graves modifications apportées à la matière ou à la forme des Sacrements, en rendant nulle leur célébration, avaient alors conduit à la nécessité de retrouver les personnes concernées pour répéter le rite du Baptême ou de la Confirmation, et un nombre important de fidèles avaient à juste titre exprimé leur mécontentement. Par exemple, au lieu d'utiliser la formule établie pour le baptême, on use de formules celles qui suivent : "Moi, je te baptise au nom du Créateur..." et "Au nom de ton papa et de ta maman... nous te baptisons". Même des prêtres se sont aussi trouvés dans une situation aussi grave. Ces derniers, ayant été baptisés avec des formules de ce type, ont douloureusement découvert l'invalidité de leur ordination et des sacrements célébrés jusqu'à ce moment.

Alors que dans d'autres domaines de l'action pastorale de l'Église on dispose d’un ample espace pour la créativité, une telle inventivité dans le domaine de la célébration des Sacrements se transforme plutôt en une "volonté manipulatrice" et ne peut donc pas être invoquée [1]. Modifier la forme d'un Sacrement ou sa matière est donc toujours un acte gravement illicite et mérite une punition exemplaire, précisément parce que de tels gestes arbitraires sont en mesure de produire de graves préjudices au peuple fidèle de Dieu.

Dans le discours adressé à notre Dicastère, à l'occasion de la récente Assemblée plénière, le 26 janvier 2024, le Saint-Père a rappelé que « grâce aux Sacrements, les croyants deviennent capables de prophétie et de témoignage. Et notre temps a un besoin particulièrement urgent de prophètes de la vie nouvelle et de témoins de la charité : aimons donc et faisons aimer la beauté et la force salvifique des sacrements ! » Dans ce contexte, il a en outre indiqué que "il est demandé aux ministres un soin particulier dans leur administration et dans la manifestation aux fidèles des trésors de grâce qu'ils communiquent » [2].

De cette façon, d'une part, le Saint-Père nous invite à agir de manière à ce que les fidèles puissent s'approcher des sacrements de manière fructueuse, et d'autre part, il souligne avec force l'appel à un « soin particulier » dans leur administration.

À nous, ministres, il est donc demandé de surmonter la tentation de nous sentir propriétaires de l'Église. Nous devons au contraire devenir très réceptifs à un don qui nous précède : non seulement le don de la vie ou de la grâce, mais aussi les trésors des Sacrements qui nous sont confiés par la Mère Église. Ils ne sont pas à nous ! Et les fidèles ont le droit, à leur tour, de les recevoir comme l'Église le veut : c'est de cette façon que leur célébration correspond à l'intention de Jésus et rend l'événement pascal actuel et efficace.

Avec notre respect religieux de ministres envers ce que l'Église a établi concernant la matière et la forme de chaque sacrement, nous manifestons devant la communauté la vérité que « la Tête de l'Église, et donc le véritable président de la célébration, est uniquement le Christ » [3].

La Note que nous présentons ici ne traite donc pas d'une question purement technique ou même "rigoriste". En la publiant, le Dicastère entend principalement exprimer avec clarté la priorité de l'action de Dieu et sauvegarder humblement l'unité du Corps du Christ qu'est l'Église dans ses gestes les plus sacrés.

Que ce Document, approuvé unanimement le 25 janvier 2024 par les Membres du Dicastère réunis en Assemblée Plénière, puis par le Saint-Père François lui-même, renouvelle chez tous les ministres de l'Église la pleine conscience de ce que le Christ nous a dit : « Ce n'est pas vous qui m'avez choisi, c'est moi qui vous ai choisis » (Jn 15, 16).

Víctor Manuel Cardinal FERNÁNDEZ
Préfet

 

 

Introduction

1. Par des événements et des paroles [Gestis verbisque] intimement liés, Dieu révèle et met en œuvre son projet de salut pour tout homme et toute femme, destinés à la communion avec lui [4] ; cette relation salvifique se réalise de manière efficace dans l'action liturgique, où l'annonce du salut, qui résonne dans la Parole proclamée, trouve sa mise en œuvre dans les gestes sacramentels. Ceux-ci, en effet, rendent présente dans l'histoire humaine l'action salvifique de Dieu, qui a son sommet dans la Pâque du Christ. La force rédemptrice de ces gestes donne une continuité à l'histoire du salut que Dieu ne cesse de réaliser dans le temps.

Institués par le Christ, les sacrements sont donc des actions qui mettent en œuvre, par des signes sensibles, l'expérience vivante du mystère du salut, rendant possible la participation des êtres humains à la vie divine. Ils sont des "chefs-d'œuvre de Dieu" dans l'Alliance nouvelle et éternelle, des forces qui sortent du corps du Christ, des actions de l'Esprit à l'œuvre dans son corps qui est l'Église [5].

C'est pourquoi l'Église, dans la Liturgie, célèbre avec un amour et une vénération fidèles les sacrements que le Christ lui-même lui a confiés pour qu'elle les garde comme un héritage précieux et comme une source de sa vie et de sa mission.

2. Malheureusement, il faut constater que les célébrations liturgiques, en particulier celles des Sacrements, ne se déroulent pas toujours dans la pleine fidélité aux rites prescrits par l'Église. Plusieurs fois, ce Dicastère est intervenu, dans le cadre du Rite romain, pour dirimer des doutes sur la validité de Sacrements célébrés dans l’inobservance des normes liturgiques, devant parfois conclure par une douloureuse réponse négative, constatant, dans ces cas, que les fidèles ont été dépouillés de ce qui leur est dû, « c'est-à-dire du Mystère pascal célébré selon le mode rituel établi par l'Église » [6]. À titre d'exemple, on peut citer les célébrations baptismales dans lesquelles la formule sacramentelle a été modifiée dans l'un de ses éléments essentiels, rendant nul le sacrement et compromettant du même coup le futur parcours sacramentel des fidèles pour lesquels, avec un grave désagrément, on a dû refaire la célébration non seulement du baptême, mais aussi des sacrements reçus par la suite [7].

3. Dans certaines circonstances, on peut constater la bonne foi de certains ministres qui, par inadvertance ou poussés par des motivations pastorales sincères, célèbrent les sacrements en modifiant les formules et rites essentiels établis par l'Église, peut-être pour les rendre, à leur avis, plus adaptés et plus compréhensibles. Souvent, cependant, « le recours à la motivation pastorale masque, même inconsciemment, une dérive subjectiviste et une volonté manipulatrice" [8]. Se manifeste aussi, de cette façon, un manque de formation, surtout pour prendre conscience de la valeur de l'action symbolique, trait essentiel de l'acte liturgico-sacramentel.

4. Afin d'aider les évêques dans leur tâche de promoteurs et de gardiens de la vie liturgique des Églises particulières qui leur sont confiées, le Dicastère pour la Doctrine de la Foi entend offrir dans cette Note quelques éléments de caractère doctrinal pour discerner la validité de la célébration des Sacrements, en prêtant également attention à certains aspects disciplinaires et pastoraux.

5. L'objectif de ce document vaut en outre pour à l'Église catholique dans son ensemble. Cependant, les arguments théologiques qui l'inspirent recourent parfois à des catégories propres à la tradition latine. Il est donc confié au Synode ou à l'assemblée des Hiérarques de chaque Église catholique orientale d'adapter dûment les indications de ce document, en recourant à leur propre langage théologique, là où celui-ci diffère de celui qui est utilisé dans le texte. Le résultat sera ensuite soumis, avant publication, à l'approbation du Dicastère pour la Doctrine de la Foi.

 

I. L'Église se reçoit et s’exprime dans les Sacrements

6. Le Concile Vatican II rapporte analogiquement la notion de Sacrement à l'Église tout entière. En particulier, dans la Constitution sur la sainte liturgie lorsqu'il affirme que « du côté du Christ endormi sur la croix a jailli l'admirable Sacrement de toute l'Église » [9], celui-ci renvoie à la lecture typologique, chère aux Pères, du rapport entre le Christ et Adam [10]. Le texte conciliaire évoque l'affirmation bien connue de saint Augustin [11], qui explique : « Adam dort pour que se forme Ève ; le Christ meurt pour que se forme l'Église » [12]. Du côté d'Adam endormi, Ève est formée ; du côté du Christ mort sur la croix, frappé par la lance, jaillissent les sacrements par lesquels se forme l'Église » [12].

7. La Constitution dogmatique sur l'Église redit que cette dernière est « dans le Christ comme Sacrement, c'est-à-dire signe et instrument de l'union intime avec Dieu et de l'unité de tout le genre humain » [13]. Et que cela se réalise avant tout au moyen des sacrements, dans chacun desquels se réalise à sa manière la nature sacramentelle de l'Église, Corps du Christ. La désignation de l'Église comme sacrement universel du salut « montre comment l'économie sacramentelle détermine ultimement la manière par laquelle le Christ, unique Sauveur, par l'Esprit, rejoint notre existence dans la spécificité de ses circonstances. L'Église se reçoit et en même temps s'exprime dans les sept sacrements, à travers lesquels la grâce de Dieu influence concrètement l'existence des fidèles, afin que toute vie, rachetée par le Christ, devienne un culte agréable à Dieu » [14].

8. En constituant précisément l'Église comme son Corps mystique, le Christ rend les croyants participants de sa propre vie, en les unissant à sa mort et à sa résurrection par un mode réel et mystérieux à travers les sacrements [15]. La force sanctifiante de l'Esprit Saint agit en effet dans les fidèles par les signes sacramentels [16], les rendant pierres vivantes d'un édifice spirituel, fondé sur la pierre angulaire qu'est le Christ Seigneur [17], et les constituant comme peuple sacerdotal  qui participe à l'unique sacerdoce du Christ [18].

9. Les sept gestes vitaux, que le Concile de Trente a solennellement déclarés d'institution divine [19], constituent ainsi un lieu privilégié de rencontre avec le Christ Seigneur qui donne sa grâce et qui, par les paroles et les actes rituels de l'Église, nourrit et fortifie la foi [20]. C'est dans l'Eucharistie et dans tous les autres sacrements que « nous est garantie la possibilité de rencontrer le Seigneur Jésus et d'être rejoints par la puissance de sa Pâque » [21].

10. Consciente de cela, l'Église, depuis ses origines, a été particulièrement attentive aux sources desquelles elle puise la sève vitale de son existence et de son témoignage : la Parole de Dieu, attestée par les Saintes Écritures et la Tradition, et les Sacrements, célébrés dans la liturgie, par lesquels elle est continuellement ramenée au mystère de la Pâque du Christ [22].

Les interventions du Magistère en matière sacramentelle ont toujours été motivées par le souci fondamental de fidélité au mystère célébré. En effet, l'Église a le devoir d'assurer la priorité de l'action de Dieu et de sauvegarder l'unité du Corps du Christ dans ces actions qui n'ont pas d'égal parce qu'elles sont sacrées « par excellence » avec une efficacité garantie par l'action sacerdotale du Christ [23].

 

II. L'Église garde et est gardée par les sacrements

11. L'Église est "ministre" des Sacrements, elle n'en est pas la patrone [24] : En les célébrant, elle en reçoit elle-même la grâce, elle les garde et à son tour elle est gardée par eux. Le pouvoir qu’elle peut exercer envers les sacrements est analogue à celle qu'elle possède à l'égard de l'Écriture Sainte. Dans cette dernière, l'Église reconnaît la Parole de Dieu, mise par écrit sous l'inspiration de l'Esprit Saint, en établissant le canon des livres sacrés. Mais en même temps, elle se soumet à cette Parole, qu'elle « écoute pieusement, conserve saintement et expose fidèlement » (25). De manière semblable, l'Église, assistée par l'Esprit Saint, reconnaît ces signes sacrés à travers lesquels le Christ répand la grâce qui provient de la Pâque, en déterminant leur nombre et en indiquant, pour chacun d'eux, les éléments essentiels.

Ce faisant, l'Église est consciente qu'administrer la grâce de Dieu ne signifie pas se l'approprier, mais se faire l'instrument de l'Esprit dans le fait de transmettre le don du Christ pascal. Elle sait, en particulier, que son pouvoir à l'égard des sacrements s'arrête devant leur substance [26] : De même que dans la prédication l'Église doit toujours annoncer fidèlement l'Évangile du Christ mort et ressuscité, de même dans les gestes sacramentels elle doit conserver les gestes salvifiques que Jésus lui a confiés [27].

12. Il est vrai que l'Église n'a pas toujours indiqué de façon univoque les gestes et les paroles en lesquels consiste cette substance divinement instituée. Pour tous les sacrements, en tout cas, apparaissent fondamentaux les éléments que le Magistère ecclésial, à l'écoute du sensus fidei du Peuple de Dieu et en dialogue avec la théologie, a appelés matière et forme, auxquels s'ajoute l'intention du ministre.

13. La matière du Sacrement consiste en l'action humaine par laquelle le Christ agit. En elle est présent tantôt un élément matériel (eau, pain, vin, huile), tantôt un geste particulièrement éloquent (signe de croix, imposition des mains, immersion, infusion, consentement, onction). Cette corporéité apparaît indispensable parce qu'elle enracine le Sacrement non seulement dans l'histoire humaine, mais aussi, plus fondamentalement, dans l'ordre symbolique de la Création et le ramène au mystère de l'Incarnation du Verbe et de la Rédemption opérée par Lui [27].

14. La forme du sacrement est constituée par la parole, qui donne un sens transcendant à la matière, transfigurant le sens ordinaire de l'élément matériel et le sens purement humain de l'action accomplie. Cette parole s'inspire toujours, à des degrés divers, de la Sainte Écriture [28], s'enracine dans la Tradition vivante de l'Église et a été définie avec autorité par le Magistère de l'Église au moyen d'un discernement attentif [29].

15. La matière et la forme, par leur enracinement dans l'Écriture et la Tradition, n'ont jamais dépendu ni ne peuvent dépendre de la volonté de l'individu ou de la communauté particulière. À leur égard, en effet, la tâche de l'Église n'est pas de les déterminer selon la volonté ou l'arbitraire de qui que ce soit, mais, en sauvegardant la substance des Sacrements (leur substance étant sauve)" [30], de les indiquer avec autorité, dans la docilité à l'action de l'Esprit.

Pour certains Sacrements, la matière et la forme apparaissent substantiellement définies dès l'origine, de sorte que leur fondation par le Christ est immédiate ; pour d'autres, la définition des éléments essentiels ne s'est précisée qu'au cours d'une histoire complexe, parfois non sans une évolution significative.

16. À cet égard, on ne peut ignorer que lorsque l'Église intervient dans la détermination des éléments constitutifs du sacrement, elle agit toujours en étant enracinée dans la Tradition, afin de mieux exprimer la grâce conférée par le sacrement.

C'est dans ce contexte que la réforme liturgique des Sacrements, qui s'est déroulée selon les principes du Concile Vatican II, a demandé de revoir les rites de telle sorte qu'ils expriment plus clairement les réalités saintes qu'ils signifient et produisent [31]. L'Église, par son magistère en matière sacramentelle, exerce son pouvoir dans le sillage de cette Tradition vivante « qui vient des Apôtres et progresse dans l'Église par l'assistance de l'Esprit Saint » [32].

Reconnaissant donc, sous l'action de l'Esprit, le caractère sacramentel de certains rites, l'Église les a admis comme correspondant à l'intention de Jésus de rendre actuel et communicable l'événement pascal [33].

17. Pour tous les Sacrements, en tout cas, l'observance de la matière et de la forme a toujours été requise pour la validité de la célébration, avec la conscience que les modifications arbitraires de l'une et/ou de l'autre – dont la gravité et la force invalidante doivent être vérifiées à chaque fois – mettent en péril l’octroi de la grâce sacramentelle, avec un évident dommage pour les fidèles [34]. Tant la matière que la forme, consignées dans le Code de Droit canonique [35], sont établies dans les livres liturgiques promulgués par l'autorité compétente, lesquels doivent donc être fidèlement observés, sans « rien ajouter, retrancher, ni modifier » [36].

18. L'intention du ministre qui célèbre le sacrement est liée à la matière et à la forme. Il est clair qu'ici le thème de l'intention doit être distingué de celui de la foi personnelle et de la condition morale du ministre, qui n'affectent pas la validité du don de la grâce (37) ; Il doit en effet avoir « l'intention de faire au moins ce que fait l'Église » (38), ce qui fait de l'action sacramentelle un acte vraiment humain, soustrait à tout automatisme, et un acte pleinement ecclésial, éloigné de l'arbitraire d'un individu. En outre, puisque ce que fait l'Église n'est rien d'autre que ce que le Christ a institué (39), l'intention aussi, avec la matière et la forme, contribue à faire de l'action sacramentelle un prolongement de l'œuvre salvifique du Seigneur.

Matière, forme et intention sont intrinsèquement unies : elles sont intégrées dans l'action sacramentelle de telle sorte que l'intention devient le principe unificateur de la matière et de la forme, faisant d'elles un signe sacré par lequel la grâce est conférée du fait même qu’il est accompli [ex opere operato] [40].

19. À la différence de la matière et de la forme, qui représentent l'élément sensible et objectif du Sacrement, l'intention du ministre – avec la disposition du destinataire – en représente l'élément intérieur et subjectif. Elle tend cependant, de par sa nature, à se manifester aussi à l'extérieur, à travers l'observance du rite établi par l'Église, de sorte que la modification grave des éléments essentiels introduit aussi un doute sur l'intention réelle du ministre, compromettant ainsi la validité du Sacrement célébré [41]. En principe, en effet, l'intention de faire ce que fait l'Église s'exprime dans l'emploi de la matière et de la forme que l'Église a établi [42].

20. La matière, la forme et l'intention sont toujours placées dans le contexte de la célébration liturgique, qui ne constitue pas un ornement cérémoniel des sacrements, ni même une introduction didactique à la réalité qui s'accomplit, mais qui est dans son ensemble l'événement dans lequel se poursuit la rencontre personnelle et communautaire entre Dieu et nous, dans le Christ et dans l'Esprit Saint, rencontre dans laquelle, par la médiation des signes sensibles, « la gloire parfaite est rendue à Dieu et les hommes sont sanctifiés » [43].

L’attention nécessaire aux les éléments essentiels des Sacrements, dont dépend leur validité, doit donc s'accorder avec le soin et le respect de l'ensemble de la célébration, dans laquelle le sens et les effets des Sacrements sont rendus pleinement intelligibles par une multiplicité de gestes et de paroles, favorisant ainsi la participation active des fidèles [44].

21. La liturgie elle-même permet cette variété qui préserve l'Église de « l’uniformité rigide » (45) ; Pour cette raison, le Concile Vatican II a décrété que, « l'unité substantielle du rite romain étant sauve, même dans la révision des livres liturgiques, on fera place aux légitimes diversités et aux légitimes adaptations aux divers groupes ethniques, régions, peuples, surtout dans les missions » (46).

En vertu de cela, la réforme liturgique voulue par le Concile Vatican II a non seulement autorisé les Conférences épiscopales à introduire des adaptations générales à l'édition typique latine, mais a également prévu la possibilité d'adaptations particulières par le ministre de la célébration, dans le seul but de répondre aux besoins pastoraux et spirituels des fidèles.

22. Toutefois, pour que la variété « ne nuise pas à l'unité, mais au contraire la serve » [47], il reste clair que, en dehors des cas expressément indiqués dans les livres liturgiques, « régler la sainte Liturgie est de la compétence exclusive de l'autorité de l'Église » [48], qui revient, selon les circonstances, à l'évêque, à l'assemblée épiscopale territoriale, au Siège Apostolique.

Il est clair, en effet, que « modifier de sa propre initiative la forme de la célébration d'un sacrement ne constitue pas un simple abus liturgique, comme transgression d'une norme positive, mais une blessure infligée à la fois à la communion ecclésiale et à la reconnaissance de l'action du Christ, qui, dans les cas les plus graves, rend invalide le sacrement lui-même, parce que la nature de l'action ministérielle exige de transmettre avec fidélité ce que l'on a reçu (cf. 1 Co 15, 3) » [49].

 

III. La présidence liturgique et l'art de célébrer

23. Le Concile Vatican II et le Magistère postconciliaire permettent d’encadrer le ministère de la présidence liturgique dans sa juste signification théologique. L'évêque, et les prêtres ses collaborateurs, président les célébrations liturgiques, et de façon éminente l'Eucharistie, « source et sommet de toute la vie chrétienne » (50), en la personne du Christ (tête) [in persona Christi (Capitis)] et au nom de l’Église [nomine Ecclesiae]. Dans les deux cas, il s'agit de formules qui – bien qu'avec quelques variantes – sont bien attestées par la Tradition [51].

24. La formule en la personne du Christ [in persona Christi] (52) signifie que le prêtre représente le Christ lui-même dans l'événement de la célébration. Cela se réalise de façon éminente lorsque, dans la consécration eucharistique, il prononce les paroles du Seigneur avec la même efficacité, en identifiant, en vertu de l'Esprit Saint, sa propre personne à celle du Christ. Lorsque le Concile précise ensuite que les presbytres président l'Eucharistie en la personne du Christ [in persona Christi] (53), il n'entend pas souscrire à une conception selon laquelle le ministre disposerait, en tant que "chef", d'un pouvoir qu'il exercerait de façon arbitraire. Le Chef de l'Église, et donc le véritable président de la célébration, est le Christ seul. Lui est "la Tête du Corps, c'est-à-dire de l'Église" (Col 1, 18), dans la mesure où il la fait jaillir de son côté, ce qui nourrit et soigne, en l'aimant jusqu'à se donner pour elle (cf. Ep 5, 25.29 ; Jn 10, 11). Le pouvoir du ministre est un service [une diakonia], comme le Christ lui-même l'enseigne aux disciples dans le contexte de la Dernière Cène (cf. Lc 22, 25-27 ; Jn 13, 1-20). Ceux qui, en vertu de la grâce sacramentelle, sont configurés à Lui, partageant l'autorité avec laquelle Lui conduit et sanctifie son peuple, sont donc appelés, dans la Liturgie et dans tout le ministère pastoral, à se conformer à la même logique, ayant été constitués pasteurs non pour dominer le troupeau, mais pour le servir selon le modèle du Christ, le bon Pasteur des brebis (cf. 1 P 5, 3 ; Jn 10, 11, 14) [54].

25. En même temps, le ministre qui préside la célébration agit au nom de l’Église [nomine Ecclesiae] (55), formule qui indique clairement que celui-ci, s'il représente le Christ Chef devant son Corps qui est l'Église, rend aussi présent devant son propre Chef ce Corps, ou plutôt cette Épouse, en tant que sujet intégral de la célébration, Peuple entièrement sacerdotal au nom duquel le ministre parle et agit (56). Du reste, s'il est vrai que « quand l’un baptise, c'est le Christ lui-même qui baptise » [57], il en est de même pour le fait que « l'Église, quand elle célèbre un Sacrement, agit comme un Corps qui agit inséparablement de sa Tête, dans la mesure où c'est le Christ-Tête qui agit dans le Corps ecclésial engendré par Lui dans le mystère de Pâques » [58]. Cela met en évidence l'ordination réciproque entre le sacerdoce baptismal et le sacerdoce ministériel [59], permettant de comprendre que le second existe au service du premier, et précisément pour cette raison – comme nous l'avons vu – dans le ministre qui célèbre les Sacrements, ne peut jamais faire défaut l'intention de faire ce que fait l'Église.

26. La fonction double et combinée exprimée par les formules en la personne du Christ – au nom de l’Église [in persona Christi – nomine Ecclesiae], et la relation réciproque et féconde entre le sacerdoce baptismal et le sacerdoce ministériel, jointes à la conscience que les éléments essentiels pour la validité des Sacrements seront considérés dans leur contexte propre, c'est-à-dire l'action liturgique, rendront le ministre toujours plus conscient que « les actions liturgiques ne sont pas des actions privées, mais des célébrations de l'Église », actions qui, même dans la « diversité des états, des offices et de la participation active », « appartiennent à tout le Corps de l'Église, le manifestent et l'impliquent » [60]. C'est précisément pour cette raison que le ministre doit comprendre que l'authentique art de célébrer [ars celebrandi] est celui qui respecte et exalte le primat du Christ et la participation active [actuosa participatio] de toute l'assemblée liturgique, même à travers l'humble obéissance aux normes liturgiques [61].

27. Il apparaît toujours plus urgent de mûrir un art de la célébration qui, à distance tant d'un rubricisme rigide que d'une fantaisie désordonnée, conduise à une discipline à respecter, précisément pour être d'authentiques disciples : « Il ne s'agit pas de devoir suivre une étiquette liturgique : il s'agit plutôt d'une "discipline" – au sens où l'entend Guardini – qui, si elle est observée avec authenticité, nous forme : ce sont des gestes et des paroles qui mettent de l'ordre dans notre monde intérieur, en nous faisant vivre des sentiments, des attitudes, des comportements. Ils ne sont pas l'énonciation d'un idéal auquel on cherche à s'inspirer, mais une action qui engage le corps dans sa totalité, c'est-à-dire dans son unité d'âme et de corps »[62].

 

Conclusion

28 « Nous […] portons ce trésor dans des vases d'argile, afin qu’apparaisse que cette puissance extraordinaire appartient à Dieu et ne vient pas de nous » (2 Co 4, 7). L'antithèse utilisée par l'Apôtre pour souligner comment la sublimité de la puissance de Dieu se révèle à travers la faiblesse de son ministère d’annonciateur décrit bien ce qui se passe dans les sacrements. Toute l'Église est appelée à sauvegarder la richesse qu'ils contiennent, afin que ne soit jamais obscurcie la primauté de l'action salvifique de Dieu dans l'histoire, même dans la fragile médiation des signes et des gestes propres à la nature humaine.

29. La force [virtus] agissante dans les sacrements façonne le visage de l'Église, en l’habilitant à transmettre le don du salut que le Christ mort et ressuscité, dans son Esprit, veut partager avec tout homme. Dans l'Église, à ses ministres en particulier, est confié ce grand trésor, afin qu'en tant que « serviteurs attentifs » du peuple de Dieu, ils le nourrissent de l'abondance de la Parole et le sanctifient par la grâce des Sacrements. Il leur revient en premier lieu de faire en sorte que « la beauté de la célébration chrétienne » reste vivante et ne soit pas « défigurée par une compréhension superficielle et réductrice de sa valeur ou, pire encore, par son instrumentalisation au service d'une vision idéologique, quelle qu'elle soit » [63].

C’est seulement ainsi que l'Église peut, jour après jour, « croître dans la connaissance du mystère du Christ, en plongeant sa [...] vie dans le mystère de sa Pâque, dans l'attente de son retour » [64].

 

Le Souverain Pontife François, lors de l'audience accordée au soussigné Préfet du Dicastère pour la Doctrine de la Foi, le 31 janvier 2024, a approuvé cette Note, décidée lors de la Session plénière de ce Dicastère, et en a ordonné la publication.

Donné à Rome, au siège du Dicastère pour la Doctrine de la Foi, le 2 février 2024, en la fête de la Présentation du Seigneur.

Víctor Manuel Cardinal Fernández
Préfet

Monseigneur Armando Matteo
Secrétaire pour la Section doctrinale

Suite à l’audience du 31 janvier 2021
FRANÇOIS

 


[1] Congrégation pour la Doctrine de la Foi, Note doctrinale sur la modification de la formule sacramentelle du baptême (24 juin 2020), note 2 : L’Osservatore Romano, 7 août 2020, 8.

[2] François, Discours aux participants à l’Assemblée plénière du Dicastère pour la Doctrine de la Foi, Salle Clémentine (26 janvier 2024) : L’Osservatore Romano, 26 janvier 2024, 7.

[3] Dicastère pour la Doctrine de la Foi, Note Gestis verbisque sur la validité des Sacrements (2 février 2024), n. 24.

[4] Cf. Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution dogmatique Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 2 : AAS 58 (1966) 818.

[5] Cf. Catéchisme de l’Église catholique, n. 1116.

[6] François, Lettre Apostolique Desiderio desideravi (29 juin 2022), n. 23 : L’Osservatore Romano, 30 juin 2022, 9.

[7] Certains prêtres ont dû constater l'invalidité de leur ordination et des actes sacramentels qu'ils ont célébrés précisément à cause de l'absence de Baptême valide (cf. can. 842), en raison de la négligence de ceux qui leur avaient conféré le Sacrement par une modalité arbitraire.

[8] Congrégation pour la Doctrine de la Foi, Note doctrinale sur la modification de la formule sacramentelle du baptême (24 juin 2020), nota 2 : L’Osservatore Romano, 7 août 2020, 8.

[9] Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), nn. 5, 26 : AAS 56 (1964) 99, 107.

[10] Le pape François commente à ce propos : « Le parallèle entre le premier et le nouvel Adam est surprenant : de même que du côté du premier Adam, après avoir fait descendre sur lui une torpeur, Dieu a tiré Ève, de même du côté du nouvel Adam, endormi dans le sommeil de la mort, naît la nouvelle Ève, l'Église. L'étonnement vient des mots dont on peut imaginer que le nouvel Adam les fait siens en regardant l'Église : "Pour le coup, c'est l'os de mes os, la chair de ma chair" (Gn 2, 23). Pour avoir cru à la Parole et être descendus dans l'eau du Baptême, nous sommes devenus os de ses os, chair de sa chair » : François, Lettre Apostolique Desiderio desideravi (29 juin 2022), n. 14 : L’Osservatore Romano, 30 juin 2022, 9.

[11] Cfr. Saint Augustin, Commentaire sur les Psaumes 138, 2 : CCL 40, 1991 : « Eve est née du côté [d’Adam] endormi, l’Église du côté [du Christ] souffrant ».

[12] Idem, Traité sur l’Évangile de Jean 9, 10 : PL 35, 1463.

[13] Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 1 : AAS 57 (1965) 5. Cf. Ibidem, nn. 9, 48 : AAS 57 (1965) 12-14, 53-54 ; Idem, Constitution pastorale Gaudium et spes (7 décembre 1965), nn. 5, 26 : AAS 58 (1966) 1028-1029, 1046-1047.

[14] Benoît XVI, Exhortation apostolique post-synodale Sacramentum caritatis (22 février 2007), n. 16 : AAS 99 (2007) 118.

[15] Cf. Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 7 : AAS 57 (1965) 9-11.

[16] Cf. Ibidem n. 50 : AAS 57 (1965) 55-57.

[17] Cf. 1P 2, 5 ; Eph 2, 20 ; Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 6 : AAS 57 (1965) 8-9.

[18] Cf. 1P 2, 9 ; Ap 1, 6 ; 5, 10 ; Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), nn. 7-11 : AAS 57 (1965) 9-16.

[19] Cf. Concile de Trente, Décret sur les sacrements, can. 1 : DH 1601.

[20] Cf. Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 59 : AAS 56 (1964) 116.

[21] François, Lettre apostolique Desiderio desideravi (29 juin 2022), n. 11 : L’Osservatore Romano, 30 juin 2022, 8.

[22] Cf. Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 9 : AAS 58 (1966) 821.

[23] Cf. Concile Œcuménique Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 5, 7 : AAS 56 (1964) 99, 100-101.

[24] Cf. 1 Cor 4, 1.

[25] Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 10 : AAS 58 (1966) 822.

[26] Cf. Concile de Trente, Session XXI, cap. 2 : DH 1728 : « En outre, le Concile déclare que l'Église a toujours eu le pouvoir d'établir et de modifier dans l'administration des sacrements, sans préjudice de leur substance, les éléments qu'elle jugeait plus utiles pour ceux qui les reçoivent ou pour la vénération de ces mêmes sacrements, selon la diversité des circonstances, des temps et des lieux » ; Concile Œcuménique Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 21 : AAS 56 (1964) 105-106.

[27] Cf. François, Lettre encyclique Laudato si’ (24 mai 2015), nn. 35-236 : AAS 107 (2015) 939-940 ; Idem, Lettre apostolique Desiderio desideravi (29 juin 2022), n. 46 : L’Osservatore Romano, 30 juin 2022, 10 ; Catéchisme de l’Église catholique, n. 1152.

[28] C'est précisément dans les sacrements, et en particulier dans l'Eucharistie, que la Parole de Dieu atteint son efficacité maximale.

[29] Cf. Gv 14, 26 ; 16, 13.

[30] Concile de Trente, Session XXI, cap. 2 : DH 1728. Cf. Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 38 : AAS 56 (1964) 110.

[31] Cf. Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 21 : AAS 56 (1964) 105-106. L'Église a toujours eu le souci de conserver une saine tradition, en ouvrant la voie à un progrès légitime. C'est pourquoi, en réformant les rites, elle a suivi la règle selon laquelle « les formes nouvelles découlent en quelque sorte organiquement de celles qui existent déjà » : Ibidem, n. 23 : AAS 56 (1964) 106. Pour preuve de cela, voir : Paul VI, Constitution apostolique Pontificalis Romani (18 juin 1968) : AAS 60 (1968) 369-373 ; Idem, Constitution apostolique Missale Romanum (3 avril 1969) : AAS 61 (1969) 217-222 ; Idem, Constitution apostolique Divinae consortium naturae (15 août 1971) : AAS 63 (1971) 657-664 ; Idem, Constitution apostolique Sacram unctionem infirmorum (30 novembre 1972) : AAS 65 (1973) 5-9.

[32] Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Dei Verbum (18 novembre 1965), n. 8 : AAS 58 (1966) 821.

[33] Cf. Benoît XVI, Exhortation apostolique post-synodale Sacramentum caritatis (22 février 2007), n. 12 : AAS 99 (2007) 113 ; CIC, can. 841.

[34] Doit être rappelée la distinction entre licéité et validité, de même que le fait que toute modification de la formule d'un sacrement est toujours un acte gravement illicite.
Même lorsqu’on considère qu'une modification mineure n'altère pas le sens originel d'un Sacrement et, par conséquent, ne le rend pas invalide, cela demeure toujours illicite.
Dans les cas douteux, lorsqu'il y a eu une altération de la forme ou de la matière d'un Sacrement, le discernement concernant sa validité relève de la compétence de ce Dicastère pour la Doctrine de la Foi.

[35] À titre d’exemple, on a : CIC, can. 849 pour il Baptême ; can. 880 § 1-2 pour la Confirmation ; cann. 900 § 1, 924 e 928 pour l’Eucharistie ; cann. 960, 962 § 1, 965 e 987 per la Pénitence ; il can. 998 pour l’Onction des malades ; can. 1009 § 2, 1012 et 1024 pour l’Ordre ; cann. 1055 e 1057 pour le Mariage ; can. 847 § 1 pour l’utilisation des huiles saintes.

[36] Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 22 : AAS 56 (1964) 106. Cf. CIC, can. 846 § 1.

[37] Cf. Concile de Trente, Décret sur les Sacrements, can. 12 : DH 1612 ; Canons que le sacrement du baptême, can. 4 : DH 1617. Écrivant à l'empereur en 496, le pape Anastase II disait ceci : « Si les rayons de ce soleil visible, bien que traversant des lieux fétides, ne sont pas du tout contaminés par une quelconque pollution par contact, à plus forte raison la puissance de ce [soleil] qui l'a rendu visible n'est-elle pas limitée par une quelconque indignité du ministre. » : DH 356.

[38] Concile de Trente, Décret sur les Sacrements, can. 11 : DH 1611. Cf. Concile de Constance, Bulle Inter cunctas, 22 : DH 1262 ; Concile de Florence, Bulle Exsultate Deo : DH 1312 ; CIC, cann. 861 § 2 ; 869 § 2 ; Catéchisme de l’Église catholique, n. 1256.

[39] Cf. Saint Thomas d’Aquin, Somme théologique, III, q. 64, a. 8 ; Benoît XIV, De Synodo dioecesana, lib. VII, cap. 6, n. 9, 204.

[40] Concile de Trente, Décret sur les Sacrements, can. 8 : DH 1608.

[41] Cf. Leone XIII, Lettre apostolique Apostolicae curae : DH 3318.

[42] Il est cependant possible que, même lorsque le rite prescrit est observé extérieurement, l'intention du ministre diffère de celle de l'Église. C'est ce qui se produit au sein des Communautés ecclésiales qui, ayant altéré la foi de l'Église dans un élément essentiel, corrompent par cela l'intention de leurs ministres, les empêchant d'avoir l'intention de faire ce que l'Église – et non leur Communauté – fait lorsqu'elle célèbre les Sacrements. C'est, par exemple, la raison de l'invalidité du Baptême conféré par les Mormons (Church of Jesus Christ of Latter-day Saints) : puisque le Père, le Fils et le Saint-Esprit sont pour eux quelque chose d'essentiellement différent de ce que professe l'Église, le Baptême administré par eux, bien que conféré avec la même formule trinitaire, est vicié par une erreur sur la foi qui se répercute sur l'intention du ministre. Cf. Congrégatione per la Doctrine de la Foie, Responsum ad propositum dubium de validitate Baptismatis (5 juin 2001) : AAS 93 (2001) 476.

[43] Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 7 : AAS 56 (1964) 101.

[44] À ce sujet, le Concile Vatican II exhorte les pasteurs à veiller « à ce que, dans l'action liturgique, non seulement les lois de la célébration valide et licite soient observées, mais que les fidèles y participent de manière consciente, active et fructueuse ». : Concile Œcuménique Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 11 : AAS 56 (1964) 103.

[45] Ibidem, n. 37 : AAS 56 (1964) 110.

[46] Ibidem, n. 38 : AAS 56 (1964) 110.

[47] Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 13 : AAS 57 (1965) 18.

[48] Concile Œcuménique Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 22 § 1 : AAS 56 (1964) 106.

[49] Congrégation pour la Doctrine de la Foi, Note doctrinale sur la modification de la formule sacramentelle du baptême (6 août 2020) : L’Osservatore Romano, 7 août 2020, 8.

[50] Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 11 : AAS 57 (1965) 15.

[51] Cf. en particulier par la formule in persona Christi (ou ex persona Christi), Saint Thomas d’Aquin, Somme théologique, III, q. 22 c ; q. 78, a. 1 c ; a. 4 c ; q. 82, a. 1 c ; par la formule in persona Ecclesiae (qui par la suite tendra à être remplacée par la formule [in] nomine Ecclesiae), Idem, Somme théologique, III, q. 64, a. 8 ; ad 2 ; a. 9, ad 1 ; q. 82, a. 6 c. Dans la Somme théologique, III, q. 82, a. 7, ad 3, Thomas est attentif à relier les deux expressions : « ... Le prêtre, dans les prières qu'il prononce dans la messe, parle en la personne de l'Église, dont il constitue l’unité. Mais dans la consécration du sacrement, il parle en la personne du Christ, dont il tient la place pour cela par le pouvoir d'ordre ».

[52] Cf. Concile Œcuménique Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 33 : AAS 56 (1964) 108-109 ; Idem, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), nn. 10, 21, 28 : AAS 57 (1965) 14-15, 24-25, 33-36 ; Paolo VI, Lettre encyclique Sacerdotalis caelibatus (24 juin 1967), n. 29 : AAS 59 (1967) 668-669 ; Idem, Exhortation apostolique Evangelii nuntiandi (8 décembre 1965), n. 68 : AAS 68 (1976) 57-58 ; Giovanni Paolo II, Lettre apostolique Dominicae Cenae (24 février 1980), n. 8 : AAS 72 (1980) 127-130 ; Idem, Exhortation apostolique post-synodale Reconciliatio et paenitentia (2 décembre 1984), nn. 8, 29 : AAS 77 (1985) 200-202, 252-256 ; Idem, Lettre encyclique Ecclesia de Eucharistia (17 avril 2003), n. 29 : AAS 95 (2003) 452-453 ; Idem, Exhortation apostolique post-synodale Pastores gregis (16 octobre 2003), nn. 7, 10, 16 : AAS 96 (2004) 832-833, 837-839, 848 ; CIC, cann. 899 § 2 ; 900 § 1.

[53] Cf. Concile Œcuménique Vatican II, Décret Presbyterorum Ordinis (7 décembre 1965), n. 2 : AAS 58 (1966) 991-993. Cf. aussi Jean Paul II, Exhortation apostolique post-synodale Christifideles laici (30 décembre 1988), n. 22 : AAS 81 (1989) 428-429 ; Idem, Exhortation apostolique post-synodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), nn. 3, 12, 15-18, 21-27, 29-31, 35, 61, 70, 72 : AAS 84 (1992) 660-662, 675-677, 679-686, 688-701, 703-709, 714-715, 765-766, 778-782, 783-787 ; CIC, can. 1009 § 3 ; Catéchisme de l’Église catholique, nn. 875 ; 1548-1550 ; 1581 ; 1591.

[54] C’est également ce qu’affirme l’Introduction générale du Missel romain, n. 93 : « C'est pourquoi, en célébrant l'Eucharistie, [le prêtre] doit servir Dieu et le peuple avec dignité et humilité, et [...] faire percevoir aux fidèles la présence vivante du Christ ».

[55] Cf. Concile Œcuménique. Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 33 : AAS 56 (1964) 108-109 ; Idem, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 10 : AAS 57 (1965) 14-15 ; Idem, Décret Presbyterorum Ordinis (7 décembre 1965), n. 2 : AAS 58 (1966) 991-993.

[56] Cf. Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 10 : AAS 57 (1965) 14-15.

[57] Concile Œcuménique Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 7 : AAS 56 (1964) 101.

[58] Congrégation pour la Doctrine de la Foi, Note doctrinale sur la modification de la formule sacramentelle du baptême (6 août 2000) : L’Osservatore Romano, 7 août 2000, 8.

[59] Cf. Concile Œcuménique Vatican II, Constitution dogmatique Lumen gentium (21 novembre 1964), n. 10 : AAS 57 (1965) 14-15.

[60] Concile Œcuménique Vatican II, Constitution liturgique Sacrosanctum Concilium (4 décembre 1963), n. 26 : AAS 56 (1964) 107. Cf. ainsi que Ibidem, n. 7 ; AAS 56 (1964) 100-101; Catéchisme de l’Église catholique, nn. 1140-1141.

[61] Cf. Introduction générale du Missel romain, n. 24.

[62] François, Lettre apostolique Desiderio desideravi (29 juin 2022), n. 51 : L’Osservatore Romano, 30 juin 2022, 11.

[63] Ibidem, n. 16 : L’Osservatore Romano, 30 juin 2022, 9.

[64] Ibidem, n. 64 : L’Osservatore Romano, 30 juin 2022, 12.