Décret concernant la discipline des intentions de la Sainte Messe
de Dicastère pour le Clergé
Date de publication : 13/04/2025

Texte original

Decreto del Dicastero per il Clero

sulla disciplina delle intenzioni delle Sante Messe


[B0251]


« Secundum probatum Ecclesiae morem, sacerdoti cuilibet Missam celebranti aut concelebranti licei stipem oblatam recipere, ut iuxta certam intentionem Missam applicet » -« Secondo l’uso approvato della Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra la Messa, ricevere l’offerta data affinché applichi la Messa secondo una determinata intenzione » (can. 945 § 1 CIC).

« L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» [1].

Coscienti di questa grazia, i fedeli per mezzo dell’offerta vogliono unirsi più strettamente al Sacrificio Eucaristico aggiungendovi un sacrificio proprio e collaborando alle necessità della Chiesa e, in particolare, contribuendo al mantenimento dei suoi sacri ministri.

In questo modo i fedeli si uniscono più intimamente a Cristo che offre sé stesso e sono, in un certo senso, ancor più profondamente inseriti nella comunione con Lui. Quest’uso non solo è approvato dalla Chiesa, ma da essa è anche promosso [2].

L’apostolo Paolo scrive che quanti servono l’altare hanno anche diritto di vivere dell’altare (Cfr I Cor 9, 13-14; I Tim 5, 18; Lc 10, 7). Le norme raccolte nei primi secoli informano circa doni offerti volontariamente nella celebrazione dell’Eucaristia. Di essi una parte era destinata ai poveri, una parte alla mensa episcopalise a coloro ai quali il Vescovo offriva ospitalità, una parte al culto e una parte ai chierici celebranti o assistenti, secondo un criterio di distribuzione prestabilito [3].

Quanti facevano offerte erano, in tal modo, coinvolti in maniera speciale nel Sacrificio Eucaristico. I doni offerti durante l’Eucaristia, e successivamente anche al di fuori, erano considerati come una ricompensa a un benefattore, come un dono in occasione del servizio(occasione servitii)compiuto dal sacerdote, come un’elemosina e mai come “prezzo di vendita” per qualcosa di santo; ciò infatti diventerebbe un atto simoniaco.

In questo tempo la Messa veniva già celebrata, su richiesta dei fedeli, per una determinata intenzione, anche se non accompagnata da un dono. Successivamente si sviluppò l’uso di offrire un’elemosina per la celebrazione di una Messa e di dare doni al sacerdote o alla Chiesa. Proprio questa pratica costituisce il precedente dell’offerta per la celebrazione della Messa. A partire dalla fine del decimo secolo, per chiedere la celebrazione della Messa per una determinata intenzione, venivano offerti doni commemorativi. In questo stesso periodo sorgono le fondazioni di Messe, ovvero l’obbligo di celebrare Messe per intenzioni prefissate. Nacque così l’uso di elargire un’offerta in occasione della Messa, usanza che la Chiesa, non solo approva, ma raccomanda e promuove.

La consuetudine secolare e la disciplina della Chiesa insiste perché a ciascuna singola offerta corrisponda la distinta applicazione, da parte del sacerdote, di una Messa da lui celebrata. La dottrina cattolica, inoltre, manifestata anche dalsensus fidelium,insegna il beneficio spirituale e l’utilità, nell’economia della grazia, per le persone e i fini per i quali il sacerdote applica le Messe che celebra, nonché, in questa stessa prospettiva, il valore dell’applicazione reiterata per le stesse persone o finalità.

Quanto poi all’applicazione in rapporto alla quale è stata ricevuta, nel senso suesposto, un’offerta, è stato più volte espresso il divieto di applicare una sola Messa per più intenzioni, per le quali sono state accettate rispettivamente più offerte. Tale prassi, come anche la mancata applicazione di una Messa in rapporto all’offerta accettata, sono state giudicate contrarie alla giustizia, come viene ripetutamente espresso nei documenti ecclesiastici [4].

Non meno illecita sarebbe la sostituzione dell’applicazione promessa nella Messa con la sola “intenzione di preghiera” nel corso di una celebrazione della Parola o con una semplice menzione in alcuni momenti della celebrazione eucaristica.

La disciplina della Chiesa in materia, anche astraendo da discorsi di natura prettamente teologica, s’ispira palesemente a due ordini di considerazioni: la giustizia verso gli offerenti, e cioè il mantenimento della parola data agli offerenti, e il dovere di evitare che ci sia anche solo la mera apparenza di “commercio” di cose sacre (Cfr cann. 947; 945 § 2 CIC).

In tempi più recenti sono, tuttavia, emerse situazioni e richieste, che hanno suggerito di adattare alcuni particolari della disciplina, creando un’eccezione alla legge universale, proprio per salvaguardare tutto quanto risulta essenziale.

Tra queste troviamo la carenza di clero in grado di soddisfare le richieste di Messe, il dovere di non « frustrare la pia volontà degli offerenti, distogliendoli dal buon proposito » [5], insieme alla constatazione che l’uso delle Messe, cosiddette “collettive”, «qualora si allargasse eccessivamente [...] deve essere ritenuto un abuso e potrebbe ingenerare progressivamente nei fedeli la desuetudine di offrire l’obolo per la celebrazione di Messe secondo intenzioni singole, estinguendo un’antichissima consuetudine salutare per le singole anime e per tutta la Chiesa » [6], costituiscono solo alcune delle ragioni per le innovazioni.

Era su questo sfondo che, il 22 febbraio 1991, l’allora Congregazione per il Clero emanò il Decreto Mos iugiter [7].

Il Decreto, ribadendo i capisaldi dottrinali e le norme fondamentali della disciplina, già accolta dal Codex Iuris Canonici, prevede che, a determinate condizioni, e solo in tali casi, il sacerdote possa comunque applicare una sola Messa per più intenzioni, in rapporto alle quali ha ricevuto offerte distinte.

Le condizioni formulate intendevano, per l’appunto, da una parte, assicurare la giustizia, e cioè il mantenimento della parola data agli offerenti, e dall’altra allontanare il pericolo, o anche solo la parvenza, di “commercio” di cose sacre.

È proprio la volontà di esclusione di tale pericolo che consentiva di adottare simili modifiche disciplinari. Concretamente, in questa prospettiva, il Decreto stabilisce soprattutto che, solo nel caso in cui i donatori dell’offerta siano stati opportunamente informati e abbiano espresso il proprio accordo [esplicito consenso], si possano raccogliere più offerte per un’unica celebrazione della Messa, e che tale celebrazione non sia quotidiana, onde evitare di ingenerare una prassi comune e al fine di mantenere il carattere dell’eccezionalità.

Trascorsi oltre trentaquattro anni dall’entrata in vigore del DecretoMos iugiter,in base all’esperienza da allora accumulata, in risposta alle osservazioni, ai quesiti e alle sollecitazioni pervenute da diverse parti del mondo, dai Vescovi, ma anche da membri del clero, da fedeli laici e dalle persone e comunità di vita consacrata, questo Dicastero, avendo considerato in profondità tutti gli aspetti della materia, e dopo ampia consultazione con gli altri Dicasteri interessati,sive ratione materiae sive alia ratione,ha maturato il giudizio che occorrano ora nuove norme che disciplinino la materia, adeguandola conformemente.


In considerazione dell’opportunità di aggiornare la normativa e, nello stesso tempo, di renderla anche più esplicita nell’esclusione di talune prassi che, abusivamente, si sono verificate in vari luoghi, questo Dicastero ha disposto di emanare, e ora emana, le norme che seguono, a integrazione della disciplina attualmente vigente in materia :


Art. 1. §1. Rimanendo fermo il can. 945 CIC, se il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia, tenendo conto di condizioni quali, per esempio, il numero dei sacerdoti rispetto alle richieste di intenzioni o il contesto sociale ed ecclesiale, nei limiti della propria giurisdizione lo dispone per decreto, i sacerdoti possono accettare più offerte da offerenti distinti, cumulandole con altre e soddisfacendovi con una sola Messa, celebrata secondo un’unica intenzione “collettiva”, qualora - e soltanto qualora - tutti gli offerenti ne siano stati informati e liberamente abbiano acconsentito.

§2. Tale volontà degli offerenti non può mai essere presunta; anzi, in assenza di un consenso esplicito, si presume sempre che non sia stata data.

§3. Nel caso di cui al § 1, al celebrante è lecito tenere per sé l’offerta di una sola intenzione (Cfr cann. 950-952 CIC).

§4. Ogni comunità cristiana sia attenta a offrire la possibilità di celebrare Messe giornaliere di intenzione singola, per le quali il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia fissano lo stipendio stabilito (Cfr can. 952 CIC).


Art. 2. Fatto salvo il can. 905 CIC, qualora il sacerdote celebri legittimamente l’Eucaristia più volte nello stesso giorno, se necessario e richiesto dal vero bene dei fedeli, può celebrare differenti Messe anche secondo intenzioni “collettive”, restando fermo che gli è lecito trattenere, quotidianamente, una sola offerta per una sola intenzione tra quelle accettate (Cfr cann. 950-952 CIC).


Art. 3. §1. Occorre soprattutto tenere presente le disposizioni del can. 848 CIC il quale stabilisce che il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, per l’amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i più bisognosi siano privati dell’aiuto dei sacramenti a motivo della povertà. Si osservi inoltre quanto vivamente raccomandato dal can. 945 § 2 CIC, vale a dire « di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta ».

§2. Per la destinazione delle offerte si applichi,congrua congruis referendo,la norma del can. 951 CIC.

§3. In considerazione delle circostanze specifiche della Chiesa particolare, e del suo clero, il Vescovo diocesano può, per legge particolare, disporre la destinazione di tali offerte alle parrocchie in stato di necessità della propria o di altre diocesi, specialmente nei paesi di missione.


Art. 4 §1. Spetta agli Ordinari erudire il rispettivo clero e popolo circa il contenuto e significato di queste norme, e vigilare sulla loro corretta applicazione, curando che si annotino accuratamente sull’apposito registro il numero delle messe da celebrare, le intenzioni, le offerte e l’avvenuta celebrazione nonché prendendo ogni anno visione di tali registri, personalmente o tramite altri (Cfr can. 958 CIC).

§2. In modo particolare, sia gli Ordinari che gli altri Pastori della Chiesa debbono assicurare che sia a tutti eminentemente chiara la distinzione tra l’applicazione per un’intenzione determinata della Messa, (ancorché “collettiva”) e il semplice ricordo nel corso di una celebrazione della Parola o in alcuni momenti della celebrazione eucaristica.

§3. Sia specialmente reso noto a tutti che la sollecitazione o anche solo l’accettazione di offerte in relazione alle due ultime fattispecie è gravemente illecita; laddove simile uso sia indebitamente diffuso, gli Ordinari competenti non escludano il ricorso a misure disciplinari e/o penali per debellare tale deprecabile fenomeno.


Art. 5. In vista dei valori anche soprannaturali connessi con la veneranda lodevole prassi di ricevere l’offerta elargita affinché applichi una Messa secondo una determinata intenzione (Cfr can. 948 CIC), per favorire altresì l’apprezzabile usanza di trasferire nei paesi di missione le intenzioni di Messe in esubero con le corrispondenti offerte, curino i Pastori di anime di incoraggiare opportunamente i fedeli a mantenerla, e laddove fosse indebolita, a rinvigorirla e promuoverla, anche attraverso l’opportuna catechesi sui novissimi e sulla communio sanctorum.


Art. 6. Laddove il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia nulla dispongano in materia rimane in vigore quanto previsto dal Decreto Mos iugiter del 22 febbraio 1991.


Il Dicastero per il Clero, trascorsi dieci anni dall’entrata in vigore delle presenti norme, promuoverà uno studio della prassi nonché della normativa vigente in materia, in vista di una verifica della sua applicazione e di un eventuale aggiornamento.


Il Sommo Pontefice, in data 13 aprile 2025, Domenica delle Palme, ha approvato in forma specifica il presente decreto e ne ha ordinato la promulgazione, disponendonel’entrata in vigore il 20 aprile 2025, Domenica di Pasqua, derogatis derogandis, contrariis quibuslibet minime obstantibus.



✠ Lazzaro Card. You Heung sik

Prefetto


✠ Andrés Gabriel Ferrada Moreira

Arcivescovo Tit. di Tiburnia

Segretario



_________________________

[1] Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, inAAS105 (2013), 1039-1040, n. 47.

[2] CfrPaoloVI, Lettera apostolica in forma di Motu proprioFirma in traditione,13 giugno 1974, inAAS66 (1974), 308;Congregazione per il Clero, DecretoMos iugiter,22 febbraio 1991, inAAS83 (1991), 443.

[3] Cfr, adesempio,Constitutiones Apostolorum(± 380) II.28,5: «Si autem (diaconus) etlectorest, accipiat et ipse una cum presbyteris»; VIII.31,2-3: «Eulogias, quae in mysticis oblationibus supersunt, diaconi ex voluntate episcopi aut presbyterorum distribuant clero...», in F.X.Funk,Didascalia et Constitutiones Apostolorum(Paderborn,1905; ristampa anastatica 1964),vol.1, pp. 108-109 e 532-533;CanonesApostolorum(5e eeuw) 41, in C.Kirch,Enchiridionfontium historiae Ecclesiasticae antiquae(Barcelona, 1965[9]), n. 699.

[4]Cfr, ad esempio, S.Uffizio, Decreto, 24 settembre 1665, n. 10, in DH 2030;Sacra Penitenzieria Apostolica, IstruzioneSuprema Ecclesiae bona, 15 luglio 1984, inEnchiridion VaticanumS1, nr. 901-912;Congregazione per il Clero, DecretoMos iugiter, cit., 444, art. 1 §1.

[5] Congregazione per il Clero, DecretoMos iugiter, cit.,446, art. 5 § 1.

[6] Ibidem, 445, art. 2 § 3.

[7] Cfr. ibidem, 443-444.


[00475-IT.01] [Testo originale: Italiano] : cliquez ici.

[B0251-XX.01]


Texte Français

Décret du Dicastère pour le Clergé

concernant la discipline des intentions de la Sainte Messe



Traduction supervisée par le prof. Cédric Burgun, 

de la Faculté de droit canonique de l'Institut Catholique de Paris


« Secundum probatum Ecclesiae morem, sacerdoti cuilibet Missam celebranti aut concelebranti licei stipem oblatam recipere, ut iuxta certam intentionem Missam applicet » - “Selon l’usage approuvé de l’Église, tout prêtre célébrant ou concélébrant la Messe peut recevoir une offrande, pour qu’il applique la Messe à une intention déterminée.” (can. 945 § 1 CIC).

« Bien que l’Eucharistie constitue la plénitude de la vie sacramentelle, elle n’est pas une récompense pour les parfaits, mais un remède généreux et une nourriture pour les faibles. Ces convictions ont aussi des conséquences pastorales que nous sommes appelés à considérer avec prudence et audace. Nous agissons souvent comme des contrôleurs de la grâce et non comme des facilitateurs. Mais l’Église n’est pas une douane, elle est la maison paternelle où il y a de la place pour chaque personne avec sa propre vie laborieuse » [1].

Conscients de cette grâce, les fidèles, par l’offrande, veulent s’unir plus étroitement au Sacrifice eucharistique en y ajoutant leur propre sacrifice et en collaborant aux besoins de l’Église et, en particulier, en contribuant à l’entretien de ses ministres sacrés.

De cette façon, les fidèles s’unissent plus intimement au Christ qui s’offre et sont, en un certain sens, encore plus profondément insérés dans la communion avec Lui. Cet usage n’est pas seulement approuvé par l’Église, mais il est aussi promu par elle [2].

L’apôtre Paul écrit que ceux qui servent l’autel ont aussi le droit de vivre de l’autel (cf. 1 Co 9, 13-14 ; 1 Tm 5, 18 ; Lc 10, 7). Les normes recueillies au cours des premiers siècles informent sur les dons offerts volontairement lors de la célébration de l’Eucharistie. De ces dons, une partie était destinée aux pauvres, une partie à la mensa episcopalise et une partie à ceux à qui l’évêque offrait l’hospitalité, une partie pour le culte et une partie pour les clercs célébrants ou les assistants, selon un critère de distribution préétabli [3].

Les personnes qui faisaient des offrandes étaient ainsi impliquées de manière particulière dans le sacrifice eucharistique. Les dons offerts pendant l’Eucharistie, et plus tard aussi en dehors de celle-ci, étaient considérés comme une récompense pour un bienfaiteur, comme un don à l’occasion du service (occasione servitii) accompli par le prêtre, comme une aumône et jamais comme un « prix de vente » pour quelque chose de saint, ce qui serait en fait devenu un acte de simonie.

À cette époque, la messe était déjà célébrée, à la demande des fidèles, pour une intention spécifique, même si elle n’était pas accompagnée d’un don. Plus tard, la coutume s’est développée d’offrir des aumônes pour la célébration d’une messe et de faire des cadeaux au prêtre ou à l’Église. Cette pratique constitue le précédent de l’offrande pour la célébration de la messe. À partir de la fin du Xe siècle, des dons commémoratifs ont été offerts pour demander la célébration d’une messe à une intention spécifique. C’est à cette même époque que sont apparues les fondations de messes, c’est-à-dire l’obligation de célébrer des messes à des intentions prédéterminées. C’est ainsi qu’est née la coutume de faire une offrande de messe, coutume que l’Église non seulement approuve, mais recommande et encourage.

La coutume séculaire et la discipline de l’Église insistent sur le fait que chaque offrande individuelle correspond à l’application distincte, par le prêtre, d’une Messe célébrée par lui. En outre, la doctrine catholique, manifestée également par le sensus fidelium, enseigne le bénéfice spirituel et l’utilité, dans l’économie de la grâce, pour les personnes et les fins auxquelles le prêtre applique les Messes qu’il célèbre, ainsi que, dans cette même perspective, la valeur d’une application répétée pour les mêmes personnes ou les mêmes fins.

En ce qui concerne l’application pour laquelle une offrande a été reçue, dans le sens susmentionné, l’interdiction d’appliquer une seule Messe à plusieurs intentions, pour lesquelles plusieurs offrandes ont été acceptées respectivement, a été exprimée à maintes reprises. Cette pratique, ainsi que la non-application d’une seule Messe en relation avec l’offrande acceptée, a été jugée contraire à la justice, comme cela a été exprimé à plusieurs reprises dans les documents ecclésiastiques [4].

Non moins illicite serait la substitution de l’application promise dans la Messe par la seule « intention de prière » au cours d’une célébration de la Parole ou par une simple mention à certains moments de la célébration eucharistique.

La discipline de l’Église en la matière, même en faisant abstraction des discours purement théologiques, est clairement inspirée par deux ordres de considérations : la justice envers les offrants, c’est-à-dire la préservation de la parole donnée aux offrants, et le devoir d’éviter même la simple apparence de « commerce » des choses sacrées (cf. can. 947 ; 945 § 2 CIC).

Plus récemment, cependant, des situations et des demandes sont apparues qui ont suggéré d’adapter certains détails de la discipline, en créant une exception à la loi universelle, précisément pour sauvegarder ce qui est essentiel.

Parmi ces situations, on trouve la pénurie de clercs capables de satisfaire les demandes de messes, le devoir de ne pas « frustrer la pieuse volonté des offrants, en les détournant du bon but » [5], ainsi que l’observation que l’usage des messes dites « collectives », « s’il devenait excessivement large [...], doit être considéré comme un abus et pourrait être considéré comme une menace pour l’ordre public » [6], doit être considéré comme un abus et pourrait progressivement engendrer chez les fidèles l’habitude de ne plus offrir l’obole pour la célébration de messes selon des intentions individuelles, éteignant ainsi une très ancienne coutume bénéfique pour les âmes particulières et pour toute l’Église » [6], constituent seulement quelques-unes des raisons des innovations introduites. C’est dans ce contexte que, le 22 février 1991, la Congrégation pour le clergé de l’époque a publié le décret Mos iugiter [7].

Le décret, en réaffirmant les bases doctrinales et les normes fondamentales de la discipline, déjà acceptées par le Codex Iuris Canonici, prévoit que, sous certaines conditions, et seulement dans de tels cas, le prêtre peut néanmoins appliquer une seule Messe à plusieurs intentions, pour lesquelles il a reçu des offrandes séparées.

Les conditions formulées visaient précisément, d’une part, à assurer la justice, c’est-à-dire la préservation de la parole donnée aux offrants, et, d’autre part, à écarter le danger, ou même l’apparence, d’un « commerce » des choses sacrées.

C’est précisément la volonté d’exclure ce danger qui a permis d’adopter de tels changements disciplinaires. Concrètement, dans cette perspective, le décret établit avant tout que, seulement dans le cas où les donateurs de l’offrande ont été dûment informés et ont exprimé leur accord [consentement explicite], plusieurs offrandes peuvent être recueillies pour une seule célébration de la Messe, et que cette célébration ne doit pas être quotidienne, afin d’éviter de générer une pratique commune et de maintenir le caractère d’exceptionnalité.

Plus de trente-quatre ans après l’entrée en vigueur du décret Mos iugiter, sur la base de l’expérience accumulée depuis lors, en réponse aux observations, aux questions et aux demandes reçues de différentes parties du monde, de la part d’évêques, mais aussi de membres du clergé, de fidèles laïcs, de personnes et de communautés de vie consacrée, ce Dicastère, après avoir considéré que la pratique de la collecte des offrandes ne doit pas être considérée comme une pratique commune, mais comme une pratique exceptionnelle, s’est efforcé d’établir un équilibre entre les deux. Ce Dicastère, après avoir examiné en profondeur tous les aspects de la question, et après une vaste consultation avec les autres Dicastères concernés, sive ratione materiae sive alia ratione, est parvenu au jugement que de nouvelles normes sont désormais nécessaires pour réglementer la question, en l’adaptant en conséquence.


Compte tenu de l’opportunité de mettre à jour les normes et, en même temps, de les rendre plus explicites en excluant certaines pratiques qui se sont produites abusivement en divers lieux, ce Dicastère a ordonné l’émission, et émet maintenant, les normes qui suivent, en complément de la réglementation actuellement en vigueur en la matière :


Art. 1 §1. Sans préjudice du can. 945 CIC, si le concile provincial ou l’assemblée des évêques de la province, tenant compte de conditions telles que, par exemple, le nombre de prêtres par rapport au nombre de demandes d’intentions ou le contexte social et ecclésial, dans les limites de sa juridiction, le décrète, les prêtres peuvent accepter plusieurs offrandes de différents offrants, en les cumulant avec d’autres et en les satisfaisant par une seule Messe, célébrée selon une seule intention « collective », si - et seulement si - tous les offrants ont été informés et ont donné leur libre consentement.

§2. Cette intention des offrants ne peut jamais être présumée ; au contraire, en l’absence d’un consentement explicite, elle est toujours présumée ne pas avoir été donnée.

§3. Dans le cas mentionné au §1, il est permis au célébrant de garder pour lui l’offrande d’une seule intention (cf. cc. 950-952 CIC).

§4. Chaque communauté chrétienne veillera à offrir la possibilité de célébrer chaque jour des messes à une seule intention, pour lesquelles le concile provincial ou l’assemblée des évêques de la province fixe l’indemnité prévue (cf. c. 952 CIC).


Art. 2. Sans préjudice du canon 905 CIC, lorsque le prêtre célèbre légitimement l’Eucharistie plus d’une fois le même jour, si cela est nécessaire et requis par le vrai bien des fidèles, il peut célébrer des Messes différentes même selon des intentions « collectives », étant entendu qu’il lui est permis de ne retenir qu’une seule offrande par jour pour une seule des intentions acceptées (Cf. can. 950-952 CIC).


Art. 3 §1. Il faut surtout tenir compte des dispositions du canon 848 CIC, selon lequel le ministre, en dehors des offrandes déterminées par l’autorité compétente, ne doit rien demander pour l’administration des sacrements, en évitant toujours que les plus nécessiteux soient privés de l’aide des sacrements à cause de la pauvreté. En outre, il faut observer ce qui est fortement recommandé dans le canon 945 § 2 CIC, à savoir « célébrer la Messe aux intentions des fidèles, surtout de ceux qui sont dans le besoin ».

§2. Pour la destination des offrandes, on appliquera la norme du canon 951 CIC, congrua congruis referendo.

§3. Compte tenu des circonstances spécifiques de l’Église particulière et de son clergé, l’Évêque diocésain peut, par une loi spéciale, prévoir la destination de ces offrandes aux paroisses dans le besoin de son propre diocèse ou d’autres diocèses, en particulier dans les pays de mission.


Art. 4. §1. Il revient aux Ordinaires d’instruire leur clergé et leur peuple respectifs du contenu et de la signification de ces normes, et de veiller à ce qu’elles soient correctement appliquées, en veillant à ce que le nombre de Messes à célébrer, les intentions, les offrandes et la célébration soient fidèlement inscrits dans le registre approprié, et à ce que ces registres soient inspectés chaque année, personnellement ou par d’autres (Cf. can. 958 CIC).

§2. De façon particulière, tant les Ordinaires que les autres pasteurs de l’Église doivent veiller à ce que la distinction entre la demande d’une intention spécifique de la Messe (même si elle est « collective ») et le simple recueillement au cours d’une célébration de la Parole ou à certains moments de la célébration eucharistique, soit éminemment claire pour tous.

§3. En particulier, il faut faire savoir à tous que la sollicitation ou même l’acceptation d’offrandes dans les deux derniers cas est gravement illicite ; là où un tel usage est indûment répandu, les Ordinaires compétents ne doivent pas exclure le recours à des mesures disciplinaires et/ou pénales pour éradiquer ce phénomène déplorable.


Art. 5. En raison de ces valeurs, y compris surnaturelles, liées à la vénérable et louable pratique de recevoir une offrande faite pour qu’une messe soit appliquée selon une intention déterminée (cf. can. 948 CIC), et afin de favoriser également l’estimable usage de transférer, dans les pays de mission, les intentions de messes en surnombre avec les offrandes correspondantes, que les pasteurs d’âmes veillent à encourager opportunément les fidèles à maintenir cette pratique, et, là où elle se serait affaiblie, à la raviver et à la promouvoir, notamment par une catéchèse appropriée sur les fins dernières (novissimi) et sur la communio sanctorum.


Art. 6. Là où le concile provincial ou l’assemblée des évêques de la province n’ont rien prévu à ce sujet, les dispositions du décret Mos iugiter du 22 février 1991 restent en vigueur.


Le Dicastère pour le Clergé, dix ans après l’entrée en vigueur des présentes normes, promouvra une étude de la pratique ainsi que des normes en vigueur en la matière, en vue d’en vérifier l’application et l’éventuelle mise à jour.


Le Souverain Pontife, le 13 avril 2025, dimanche des Rameaux, a approuvé le présent décret in forma specifica et en a ordonné la promulgation, le faisant entrer en vigueur le 20 avril 2025, dimanche de Pâques, derogatis derogandis, contrariis quibuslibet minime obstantibus.



✠ Lazzaro Card. You Heung sik

Préfet


✠ Andrés Gabriel Ferrada Moreira

Archevêque Tit. di Tiburnia

Secrétaire



[1] FRANCOIS, Exhortation apostolique Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, in AAS105 (2013), 1039-1040, n. 47.

[2] Cfr. PAUL VI, Lettre apostolique in forma di Motu proprio Firma in traditione,13 juin 1974, in AAS 66 (1974), 308 ; Congrégation pour le Clergé, Décret Mos iugiter, 22 février 1991, in AAS83 (1991), 443.

[3]. Cfr, par exemple, Constitutiones Apostolorum (± 380) II.28,5: « Si autem (diaconus) et lectorest, accipiat et ipse una cum presbyteris » ; VIII.31,2-3: « Eulogias, quae in mysticis oblationibus supersunt, diaconi ex voluntate episcopi aut presbyterorum distribuant clero...», in F.X.Funk, Didascalia et Constitutiones Apostolorum (Paderborn,1905; ristampa anastatica 1964),vol.1, pp. 108-109 e 532-533 ; Canones Apostolorum (5e eeuw) 41, in C.Kirch,Enchiridionfontium historiae Ecclesiasticae antiquae (Barcelona, 1965 [9]), n. 699.

[4] Cfr, par exemple, Saint Office, Décret, 24 septembre 1665, n. 10, in DH 2030 ; Sacré Pénitenterie Apostolique, Instruction Suprema Ecclesiae bona, 15 juillet 1984, in Enchiridion Vaticanum S1, nr. 901-912 ; Congrégation pour le Clergé, Décret Mos iugiter, cit., 444, art. 1 §1.

[5] Congrégation pour le Clergé, Décret Mos iugiter, cit.,446, art. 5 § 1.

[6] Ibidem, 445, art. 2 § 3.

[7] Cfr. ibidem, 443-444.


[00475-IT.01] [Testo originale: Italiano]

[B0251-XX.01]